04/05/2007, 00.00
ASIA
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Il difficile, e pericoloso, lavoro dei giornalisti in Asia

di Qaiser Felix
Nella Giornata mondiale per la libertà di stampa il ricordo di censure, aggressioni, carcere e omicidi di giornalisti, frequenti in molti Paesi asiatici. L’indifferenza dell’Occidente “democratico” e la repressione dei cyberdissidenti in Cina. Un parere del vescovo di Lahore.

Pechino (AsiaNews) – I maggiori problemi per la stampa sono in Asia, con una diffusa censura e troppi giornalisti ancora uccisi o imprigionati per il loro lavoro, nell’indifferenza del mondo democratico. E’ questo il messaggio emerso ieri dalla Giornata mondiale per la libertà di stampa.

Secondo Reporter senza frontiere nel 2007 sono stati già uccisi 24 giornalisti (18 nella sola Asia, compreso il turco Hrant Dink, autore di scritti sul genocidio degli armeni, assassinato il 19 gennaio all’uscita dalla redazione) e 5 assistenti tecnici dei media; sono in carcere 125 giornalisti (la metà in Asia, 31 in Cina) e 65 cyberdissidenti (50 solo in Cina). Sotto accusa, insieme alle sistematiche persecuzioni in Paesi come Cina, Siria, Iran, Vietnam e Turkmenistan, soprattutto “un’allarmante mancanza di interesse dei Paesi democratici, per la difesa dei valori che si suppone incarnino”, dimostrata dal “silenzio” e dal “comportamento” tenuto per questi omicidi e carcerazioni.

L’Istituto internazionale per la sicurezza dell’informazione (che riunisce organizzazioni della stampa e gruppi per i diritti umani) parla di 1.000 giornalisti morti negli ultimi 10 anni: 138 nel solo Iraq e 88 in Russia. “In molti Paesi – commenta il direttore Rodney Pinder – l’omicidio è il più semplice, economico e sicuro modo per far tacere un reporter scomodo”.

Nella Corea del Nord il dittatore Kim Jong-il ha un totale controllo sulla stampa, costretta a fare solo una grottesca propaganda al regime. Nel Myanmar nel 2006 la censura ha vietato circa un terzo degli articoli e delle illustrazioni delle pubblicazioni private. In Thailandia la giunta militare ha chiuso da settembre centinaia di radio locali. A Singapore e in Malaysia sono autorizzate solo le pubblicazioni di gruppi ritenuti “leali” verso il governo.

In Cina a gennaio è stato massacrato di botte Lan Chegnzhang mentre raccoglieva notizie sulle condizioni di lavoro in una miniera di carbone e c’è un attento controllo sui media con la rimozione dei direttori “sgraditi”: come Li Datong e Lu Yuegang, direttore e vicedirettore del diffuso Bingdian Weekly, trasferiti all’inizio del 2006 dopo la pubblicazione di un articolo sulla rivolta dei boxer in Cina che sosteneva tesi difformi da quelle ufficiali. Il Partito comunista controlla i media e ora concentra l’attenzione su internet, con arresti e anni di carcere per i cyberscrittori, una polizia specializzata, stretti controlli sugli internet café, l’obbligo per le ditte internet (come Yahoo, Microsoft, Google) di fornire nomi e indirizzi di scrive in rete.

La grande instabilità del Medio Oriente favorisce omicidi e rapimenti, specie in Iraq e in Palestina.

In Arabia Saudita le generali discriminazioni sociali rendono precario il lavoro delle donne giornalista, le quali – ricorda Sabriya Jawhar, direttrice delle donne della Saudi Gazette - lavorano spesso senza contratto o con salari minimi, possono essere licenziate e non sono informate dei diritti, spesso anche nel lavoro sono in una situazione di segregazione rispetto ai colleghi uomini.

La censura è molto attenta sui temi religiosi. In Afghanistan e in Pakistan la critica contro le autorità religiose può essere considerata blasfemia, punita con il carcere. Le autorità religiose dell’Iran hanno emesso “decreti di morte” contro un giornalista francese e due azeri per i loro scritti sull’islam.

In Pakistan ci sono frequenti violenze e minacce contro i giornalisti (specie nelle zone nordoccidentali dove attiva è la guerriglia islamica radicale) senza che le Autorità si preoccupino di trovare e punire i responsabili. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (osservatorio Usa sui media che a luglio ha parlato con decine di giornalisti locali, dopo l’assassinio a giugno del giornalista Hayatullah Khan) pone il Paese al 6° peggior posto per la tutela della stampa, specie per questa mancanza di tutela e per i modesti salari. Dal 2002 ci sono stati 7 omicidi di giornalisti ma per 6 non si ha notizia di adeguate indagini. C’è preoccupazione per un progetto di legge che potrebbe imporre un monopolio della stampa.

Mons. Lawrence John Saldanha, arcivescovo di Lahore e presidente della Commissione cattolica per i media e la comunicazione in Pakistan, ribadisce ad AsiaNews che “è oggi importante il ruolo dei media nel mondo”, “per far conoscere la verità e diffondere le notizie in modo corretto”. Questo lavoro – prosegue mons. Saldanha – non deve subire “restrizioni non necessarie dei governi”. “Nel Paese ci sono ancora  poche pubblicazioni cristiane… ma fanno un buon lavoro con mezzi limitati”.

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