30/04/2007, 00.00
TURCHIA
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Il fiume di bandiere ad Istanbul per la laicità e la democrazia

di Mavi Zambak
La manifestazione di ieri, con oltre un milione di partecipanti è un segno del profondo scontento dei turchi verso l’islamizzazione del Paese e l’inerzia del governo verso la violenza contro le minoranze etniche e religiose L’esercito minaccia un intervento. Il partito di opposizione cerca di invalidare l’elezione di Gul.

Istanbul (AsiaNews) - Un mare di folla inimmaginabile si è mobilitata ieri nella piazza di Caglayan, nel cuore europeo di Istanbul, per rivendicare la laicità del Paese contro i tentativi di islamizzazione. Il luogo è lo stesso dove mesi fa un pugno di persone – dichiaratesi islamiste - si erano radunate senza successo per contestare la venuta di papa Benedetto XVI in Turchia. Un milione e più di turchi – un fiume rosso di bandiere - si sono raccolte in un clima di pace e di gioia, per questa immensa manifestazione organizzata da ben 600 associazioni laiche di destra e di sinistra. Canti, concerti, slogan pacifici, dibattiti infuocati, ma all’insegna del rispetto, hanno dimostrato che la laicità è la vera strada per giungere finalmente ad una reale e concreta democrazia.  

La manifestazione di protesta era contro l’ipotesi di un islamico alla presidenza e di una first lady con il velo, ma non solo: essa è stata piuttosto contro tutto l’operato di un governo, del suo processo riformatore verso un islamizzazione sempre più sfacciata, verso l’inerzia dimostrata di fronte alla violenza sempre più cruenta e brutale nel nome dell’Islam contro le minoranze etniche e religiose del Paese. Questa gigantesca manifestazione mostra che la Turchia si trova ad un grande bivio di fronte all’ambita scelta di democrazia.

L’esercito contro la presidenza islamica

E’ da mesi che c’è forte tensione circa le elezioni alla presidenza della Repubblica. In realtà in Turchia , il presidente della Repubblica, eletto dal parlamento, ha funzioni limitate. Eppure nel collettivo immaginario turco, il palazzo della presidenza ad Ankara riveste un ruolo simbolico fondamentale: rappresenta la continuità della laicità statale, voluta e costruita da Ataturk, il padre della Patria e della repubblica Turca fondata nel 1923.

Proprio per questo fa paura il fatto che l’unico candidato alle presidenziali sia un membro del Partito islamico attualmente al governo. E’ stato lo stesso presidente uscente Ahmet Necdet Sezer – che in questi cinque anni ha respinto ben 150 leggi promulgate dal governo turco, ritenendole non conformi al principi del laicismo -  ad usare toni apocalittici: “Se Gul, attuale Ministro degli Esteri raggiunge la presidenza, il partito AKP, che occupa i due terzi dei seggi parlamentari, si troverebbe a detenere tutte le maggiori cariche della Stato (capo dello stato, primo ministro e presidente del parlamento): il regime laico si trova in pericolo”.

I militari, che dai tempi di Ataturk si definiscono il baluardo della laicità della Turchia e difensori dell’ideologia kemalista, minacciano un massiccio intervento nel caso di una prevaricazione islamica nella politica turca.

Ma dal 1980, quando il Servizio di Sicurezza delle Forze Armate ha provocato l’ultimo colpo di stato, di cose ne sono cambiate. Sono diversi i rapporti internazionali della Turchia con l’Europa e con il mondo; per questo, un intervento dell’esercito potrebbe provocare risonanze impopolari e fatali (così come è già emerso dalle richieste del parlamento europeo di non interferenza). Ma quel che più conta, oggi è cambiata soprattutto la coscienza della popolazione. Mentre da una parte si assiste ad una apparente islamizzazione della nazione e ad un irrompere sempre più di forze islamiche fondamentaliste, dall’altra si registra una forte volontà di laicità e democrazia, come è dimostrato dall’enorme manifestazione di ieri. Ci si auspica dunque che non la forza delle armi, ma la forza del popolo abbia questa volta il sopravvento.

Il potere di Erdogan e Gul

Intanto il premier Erdogan, sembra andare dritto per la sua strada: stasera pronuncerà un discorso alla nazione a difesa del suo operato e del suo candidato. Anche Abdullah Gul afferma senza mezzi termini che non ritirerà la sua candidatura. Eppure venerdì sera (27 aprile) vi è stata fumata nera per lui durante il primo scrutinio in parlamento: a causa del boicottaggio dell’opposizione non ha ottenuto il numero legale. L’Akp deve fare i conti anche con la bruta realtà dei numeri. Se è vero che nel 2002 ha ottenuto la maggioranza dei seggi in parlamento, ciò è avvenuto grazie al particolare sistema elettorale turco che prevede uno sbarramento ai piccoli partiti (soprattutto quelli kurdi). In tal modo, con solo il 34% dei voti ottenuti si è potuto aggiudicare 367 seggi sui 550 dell’Assemblea Nazionale. Esso però è ben lontano dal rappresentare la maggioranza della nazione, soprattutto tenendo presente che sempre nel 2002 ci furono ben 11 milioni di astenuti.

Intanto l’opposizione, il Partito Repubblicano Popolare (CHP) si è appellato alla Corte costituzionale, roccaforte del laicismo, per invalidare l’elezione presidenziale. I giudici si sono riservati due giorni per decidere, prima del 2 maggio, giorno designato per il secondo scrutinio in parlamento. Se il ricorso viene respinto, Gul,potrebbe essere eletto presidente della Repubblica al terzo scrutinio, per il quale basta solo la maggioranza assoluta. In caso contrario, ad Erdogan toccherà convocare la popolazione alle urne entro novanta giorni. E sarà allora la nazione a decidere le sorti della democrazia del Paese.

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