17/02/2016, 10.27
HONG KONG – CINA
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Il governo di Hong Kong rifiuta un’indagine indipendente sugli scontri di Mong Kok. Il pugno duro di Pechino

di John Ai

Pechino si dimostra sempre più inflessibile sugli affari dell’ex colonia e usa per la prima volta il termine “separatisti radicali”. Il referendum rimane sulla carta e cresce il rischio di tensioni sociali.

Hong Kong (AsiaNews) – Il governo di Hong Kong ha definito “inutile” la creazione di una Commissione indipendente per indagare sugli scontri avvenuti nell’area commerciale di Mong Kok il primo giorno del Nuovo anno cinese. La richiesta era contenuta in una petizione presentata da 30 accademici locali.

Il conflitto è esploso dopo che le autorità hanno annunciato la volontà di “ripulire le strade” del distretto dai venditori ambulanti durante la Festa di primavera: negli anni precedenti, la loro presenza era stata tollerata. Le proteste dei venditori si sono subito trasformate in uno scontro violento, il più grave dai moti del 1967 lanciati dai dimostranti pro-comunisti. La polizia ha sparato dei colpi di pistola in aria per cercare di fermare i manifestanti.

Dixon Sing Ming (成名), professore associato dell’Università della scienza e della tecnologia di Hong Kong e co-firmatario della petizione, ha dichiarato al giornale locale Apple Daily che Hong Kong sembra essere semi-democratica mentre in realtà si sta trasformando in una realtà sempre più autocratica. Ha aggiunto che dagli anni Sessanta non si sono visti molti miglioramenti.

Gli attivisti hanno chiamato la protesta “Rivoluzione dei bocconcini di pesce” (鱼蛋革命), dal nome del popolare spuntino venduto dagli ambulanti. Pechino ha risposto in modo duro, e i media ufficiali hanno definito i dimostranti “rivoltosi” (暴徒). Le autorità hanno accusato 37 persone di “sommossa” (暴动罪), reato che può portare a 10 anni di carcere.

Il People’s Daily, organo ufficiale del Partito comunista cinese, ha definito i manifestanti “separatisti radicali” (激进分离分子): è la prima volta che questo termine viene usato al di fuori del Tibet e dello Xinjiang. Il quotidiano ha anche accusato il Civic Party (公民党) e il gruppo Scholarism (学民思潮) di sostenere i “rivoltosi”.

Lo scorso 12 febbraio Zhang Xiaoming (张晓明), capo dell’Ufficio cinese per le relazioni con Hong Kong (organo che rappresenta il governo centrale di Pechino), ha definito gli ambulanti “disoccupati malvagi” (无业游民) e “separatisti radicali con tendenze terroristiche” (有恐怖倾向的激进分离分子).

Due giorni fa, le autorità hanno impedito a tre rappresentanti della Federazione degli studenti di Hong Kong di salire su un aereo diretto a Pechino e hanno revocato i loro documenti di viaggio. Carrie Lam (林郑月娥), capo della Segreteria del governo di Hong Kong, ha spiegato che il governo centrale conosce già la richiesta di suffragio universale, e che quindi non è necessario presentare una petizione alla capitale.

Dalla fine di Occupy Central, lo scontento sociale continua a covare. Crescono le richieste di maggiore autonomia, e persino di indipendenza. Secondo alcuni, fra i dimostranti arrestati vi sono membri della Hong Kong Indigenous (本土民主连线) [gruppo politico nato nel 2015 che si oppone alla crescente influenza cinese nell’ex colonia ndt]. Il dibattito sulla costruzione di una ferrovia ad alta velocità riflette la paura prevalente nella comunità. E la sparizione di cinque editori locali aumenta la preoccupazione del popolo.  

Il gigante del settore bancario internazionale HSBC ha abbandonato il progetto di spostare nel Territorio il proprio quartier generale, dopo 10 mesi di analisi. Gli osservatori ritengono che questa decisione mostra come oramai stia svanendo la fiducia nel futuro di Hong Kong.

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