06/11/2008, 00.00
MYANMAR
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Il popolo birmano invoca democrazia e libertà religiosa

La fine della dittatura in Myanmar e la sete di Dio della popolazione: sono le due facce di un Paese che la giunta militare tenta di soffocare in continuazione. Ancora oggi i profughi del ciclone Nargis sopravvivono fra gli stenti, senza acqua né cibo. Il lavoro della Chiesa cattolica, tra repressione del governo e il sostegno ai poveri.

Yangon (AsiaNews) – Il futuro del Myanmar non dipende dalla “comunità internazionale” o dai “singoli movimenti interni”, ma è legato alla forza e all’unità di un “popolo che deve diventare artefice del proprio destino”. È l’auspicio che rivolge ad AsiaNews una fonte cattolica birmana che – in condizioni di anonimato per motivi di sicurezza – ha accettato di raccontare la realtà del Paese e le prospettive per il futuro, il miraggio della democrazia e i timori di nuove repressioni, ma anche la “speranza di un popolo assetato di Dio” alla continua ricerca di una “realtà ultima che sollevi lo spirito” dalla miseria, dai dolori e dalle vessazioni quotidiane.

Una vasta fetta della popolazione diventa “sempre più povera” e sopravvive “con meno di 120 dollari Usa all’anno”. Diritti umani, libertà personale e religiosa, democrazia: parole vuote in Myanmar, dove una dittatura militare regna incontrastata da oltre un ventennio e mette a tacere chi cerca di esprimere il dissenso. La fonte si dice sicura che la dittatura – nel lungo periodo – cadrà come è successo in passato in Unione Sovietica o in altre zone in cui dominavano regimi totalitari, ma dipenderà da una “lotta a livello locale” da combattere “non con una guerra aperta, ma con una lenta opera di erosione dall’interno” con la forza “della ragione, del dialogo e della pace”. Un ruolo essenziale può essere ricoperto “dai media e da internet”, nonostante il controllo “serrato” esercitato dai militari, perché permette di “raccogliere notizie da tutto il mondo” e conoscere “una realtà diversa dalla versione ufficiale propagandata dalle autorità”. 

La Cina ha allungato i suoi tentacoli sulla ex-Birmania, proteggendo la giunta militare al potere in seno alla comunità internazionale. “Essa – continua la fonte – ha più interessi a tutelare il governo con il quale conclude affari” a scapito della popolazione civile, secondo la logica della “non ingerenza negli affari interni di un altro Paese. Ecco perché la giunta è diventata sempre più forte” in apparenza, ma segue una logica di “repressione continua per timore di perdere il potere” in vista delle elezioni politiche del 2010.

Anche fra i profughi del ciclone Nargis, a distanza di mesi, la situazione sembra essere “drammaticamente uguale”. Prima la giunta militare requisisce gli aiuti umanitari forniti dalle agenzie internazionali, poi “allunga le mani” sulle aree più sperdute, in cui vi sono ancora oggi “migliaia di persone che muoiono di fame o di sete” perché non hanno cibo, né acqua. Le organizzazioni umanitarie cercano di portare soccorso ai più sfortunati e proprio la Chiesa può giocare un “ruolo essenziale” nei programmi di aiuto e assistenza grazie al lavoro svolto “dalla Conferenza episcopale che coordina gli interventi di varie associazione fra le quali la Caritas locale”. I cattolici, racconta la fonte, operano sul territorio grazie a una fitta presenza di volontari e associazioni legate a diocesi e parrocchie: un lavoro aperto ma discreto, non ostentato, che sia davvero in grado di arrivare alla gente senza incappare nelle ire della giunta militare. “Le associazioni religiose, in special modo quelle cattoliche – continua – sono essenziali perché forniscono figure qualificate come suore, infermiere, assistenti e volontari che sanno come operare e quali interventi mettere in atto per aiutare persone che, ancora oggi, soffrono a causa dei disastri provocati dal ciclone”.

Il compito dei cristiani resta quello di trasmettere “un segnale di speranza” e la “cooperazione con i buddisti può diventare un elemento importante per mettere paura al regime, che teme questa unione di intenti. Bisogna però usare molta cautela e continuare il dialogo interreligioso tanto nelle opere concrete, quanto nel compito di evangelizzare".

Nel Paese c’è una sete di Dio e la testimonianza arriva dai “numerosi casi di conversione al cristianesimo”, perché capace di offrire un messaggio di speranza che va oltre le sofferenze quotidiane, ma soprattutto perché il popolo birmano “pur rimanendo legato alla propria cultura e alle proprie tradizioni, desidera incontrare Cristo” e il messaggio di salvezza che porta con sé, nonostante “la pressione esercitata dal governo” cerchi di “limitare” le conversioni. Nel Paese la “libertà religiosa è contemplata dalla Costituzione”, ma viene applicata “secondo un criterio molto soggettivo e particolare” dalla giunta militare.

L’ultima riflessione è dedicata alla più famosa attivista birmana per la democrazia, la premio Nobel Aung San Suu Kyi: “La giunta militare – conferma la fonte – l’ha rinchiusa in un angolo e la mantiene sotto stretta sorveglianza, ma rimane molto popolare e rispettata dalla gente”. Il ruolo della “Signora” resta fondamentale nella lotta per la democrazia nel Paese, ma “non può fare tutto da sola”. È importante che la gente la sostenga nel suo “lavoro di coordinamento fra le varie fazioni all’opposizione” e che resti sempre un punto di riferimento nel promuovere i valori “della democrazia, del rispetto dei diritti umani e della libertà di religione: la giunta militare è consapevole della sua influenza ma la Signora non può combattere da sola: ha bisogno del sostegno del popolo”.

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