03/07/2009, 00.00
CINA - VATICANO
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Il vescovo di Pechino sempre più prigioniero dell’Associazione Patriottica

di Wang Zhicheng
L’organizzazione che controlla la Chiesa gli lascia solo lo spazio per elogiare l’indipendenza della Chiesa cinese dalla Santa Sede. L’Ap cerca di ricondurre all’obbedienza i vescovi ufficiali dopo la Lettera del papa. La persecuzione verso vescovi ufficiali e sotterranei.

Pechino (AsiaNews) – Agli occhi dei cattolici di Pechino il vescovo della capitale appare ormai una preda del Partito e dell’Associazione patriottica (Ap). Nelle ultime settimane il prelato ha continuato a difendere la politica dell’Ap dello “alzare la bandiera dell’amare la patria e amare la Chiesa” e del “perseverare nei principi di indipendenza, autonomia e autogestione della Chiesa”. Mentre il primo aspetto è molto vicino a quanto Benedetto XVI va dicendo da sempre (i buoni cattolici sono anche buoni cittadini), il secondo esalta il principio di separazione della Chiesa cinese dalla Santa Sede portato avanti dall’Associazione patriottica, che ha spinto il papa a dichiarare gli ideali dell’Ap come inconciliabili con la dottrina cattolica (cfr. Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi n. 7 e nota 36).

Mons. Giuseppe Li Shan, 44 anni, è stato consacrato arcivescovo di Pechino il 21 settembre 2007, con l’approvazione della Santa Sede, ma da diversi mesi egli è sempre più succube dell’Ap, l’organismo che controlla la sottomissione della Chiesa  al Partito.

Secondo diversi fedeli di Pechino, il vescovo sembra aver delegato la sua missione pastorale al capo dell’Ap, il laico Antonio Liu Bainian. Per la fine dell’Anno Paolino e l’inizio dell’Anno sacerdotale, mons. Li Shan si è limitato a fare gli auguri a tutti i sacerdoti che si chiamano Pietro o Paolo e ha invitato il suo clero a un pranzo in comune.

Liu Bainian, invece, ha avuto la possibilità di fare un discorso al clero e alle religiose invitando ad “imitare l’apostolo Paolo, promuovere lo studio teologico, costruire con impegno una Chiesa inculturata di carattere cinese”. Nel suo forbito discorso – riportato in modo quasi integrale sul sito della diocesi di Pechino (http://www.tianguangbao.org/09.7.1/1.htm) – egli ha sottolineato che la Chiesa di Cina vive lo spirito e il pensiero paolino, da lui riassunto in 4 punti: a) spirito di adattamento; b) superamento della tensione fra religione e politica, ubbidendo al regime in cui ci si trova; c) spirito di solidarietà; d) vivere l’evangelizzazione.

“Come san Paolo”, egli ha condannato “le divisioni” e soprattutto quella fra Chiesa ufficiale e sotterranea che, secondo lui, è creata in modo esclusivo da qualche “potenza occidentale anticinese, che danneggia l’evangelizzazione”. Di solito nei documenti del Partito il Vaticano viene definito una “potenza occidentale (o straniera)” che cerca di immischiarsi con (“falsi”) motivi religiosi nella vita della Cina.

Liu Bainian ha offerto il suo discorso durante un seminario teologico sull’Anno Paolino organizzato dall’ Yi Hui Yi Tuan (l’insieme dell’Ap e del Consiglio episcopale cinese). All’incontro era presente anche il vescovo patriottico Ma Yingling, dichiarato illegittimo dalla Santa Sede. Mons. Ma ha presentato il significato del seminario sollecitando i fratelli sacerdoti a vivere l’Anno sacerdotale nello spirito paolino per contribuire alla missione sacra della Chiesa cattolica cinese.

Mons. Li Shan non ha fatto nemmeno una lettera ai suoi preti per l'Anno sacerdotale. A lui l’Ap chiede di parlare solo quando deve difendere l’indipendenza della Chiesa cinese dal Vaticano.

Dal 10 al 12 giugno si è tenuta nella capitale la Nona Assemblea dei Rappresentanti della Chiesa cattolica di Pechino alla presenza di 230 sacerdoti, religiose, seminaristi e laici. A mons. Li Shan è stata affidata una relazione dal titolo “Alzare la bandiera dell’amare la patria e amare la Chiesa, promuovere l’evangelizzazione della Chiesa cattolica di Pechino”.

Nella sua relazione - divisa in tre capitoli - ha percorso la storia della Chiesa di Pechino, l’esperienza degli ultimi 5 anni, la futura missione. Nella prima parte ha sottolineato l’importanza del “consolidamento dell’Ap”,  la “gestione democratica della Chiesa”, “la Chiesa al servizio della capitale, nella prospettiva generale della società”. E fra le esperienze più importanti da valorizzare vi sono il “perseverare nei principi di indipendenza e autonomia, autogestione della Chiesa; servizio alla società; amministrazione democratica della Chiesa”.

Grazie al suo essere remissivo, il vescovo è stato eletto presidente della Liang Hui, l’unione di due gruppi: l’Associazione Patriottica di Pechino e il Consiglio degli Affari cattolici della municipalità di Pechino.

Negli ultimi anni la quasi totalità dei vescovi ufficiali si era riconciliata con la Santa Sede. La Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi (27 maggio 2007) aveva rafforzato questo legame spingendo molti vescovi riconosciuti dal governo a collaborare con i vescovi sotterranei.

Ma proprio a causa della Lettera del papa e della ritrovata unità fra i vescovi cinesi, il Fronte Unito e le Associazioni patriottiche hanno lanciato da molti mesi una serie di iniziative per ricondurre all’obbedienza i vescovi ufficiali cinesi. Fronte Unito e Ap continuano a convocarli, obbligandoli a partecipare a convegni, incontri, studi, sessioni politiche, tanto da rendere molto precario il loro lavoro pastorale. I vescovi non hanno possibilità nemmeno di potersi incontrare fra loro da soli, e passano da una vita in solitudine - alla mercé dei segretari dell’Ap - a incontri comuni sotto il controllo e il lavaggio di cervello ad opera del Fronte Unito e dell’amministrazione statale degli affari religiosi.

Secondo il card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, il regime cinese sta attuando una persecuzione verso la Chiesa ufficiale. Allo stesso tempo, tutti i vescovi sotterranei – non riconosciuti dal governo – sono agli arresti domiciliari o sono scomparsi nelle mani della polizia.

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