03/01/2013, 00.00
LIBANO
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Il viaggio di pace di Benedetto XVI ha "illuminato" il 2012 libanese

di Fady Noun
L’anno appena concluso contraddistinto da luci e ombre. Il momento più buio l’attentato a Wissam el-Hassan, legato alla guerra in Siria. Il messaggio di speranza consegnato dal Papa, istante di “felicità e grazia”. La “gloria” del Libano, legata “alla Croce” delle sue sofferenze. Lo sforzo comune – e necessario – di cristiani e musulmani.

Beirut (AsiaNews) - Fra i molti eventi che hanno caratterizzato l'anno appena concluso, il più grave è stato l'attentato contro Wissam el-Hassan, legato a doppio filo alle oscure trame di potere e interessi che ruotano attorno all'arresto dell'ex ministro Michel Samaha. E, di conseguenza, alla guerra in Siria. Nei fatti, il Libano ha vissuto per tutto l'anno al ritmo scandito da questa guerra, percepita come un avvenimento interno, tanto le sorti dei due Paesi si sono intrecciate nei decenni scorsi e per il fattore stesso della vicinanza fisica. Un elemento presentato come fatalità dettata dalla geografia, la quale comporta dei doveri a livello politico.

Già, [noi libanesi] abbiamo vissuto questo 2012 al ritmo del crollo immane e fragoroso di uno dei regimi, in apparenza, più solidi del mondo arabo; al tempo dettato dalla sua caduta agli inferi, la cui somiglianza alla nostra è così forte da suscitare inquietudine. E i versi del profeta Abacuc (vissuto nel 600 a. C.), non ne dubitiamo affatto, sono subito tornati alla mente di moltissimi libanesi disgustati dalla loro stessa guerra: "Guai a chi fa bere i suoi vicini, versando veleno per ubriacarli e scoprire le loro nudità. Ti sei saziato di vergogna, non di gloria. Bevi, e ti colga il capogiro. Si riverserà su di te il calice della destra del Signore e la vergogna sopra il tuo onore, poiché lo scempio fatto al Libano ricadrà su di te e il massacro degli animali ti colmerà di spavento, a causa del sangue umano versato, della violenza fatta alla regione, alla città e a tutti i suoi abitanti".

Qualcuno ha voluto, confondendo le situazioni, applicare questa invettiva contro l'oppressore babilonese pronunciata da Abacuc - come fosse una profezia - ad un Libano martirizzato e violentato da un oppressore che molti associano col regime siriano al collasso. Torna al contempo alla mente, anche il grido appassionato di papa Giovanni Paolo II rivolto alle potenze mondiali, accusate di violentare le nazioni più piccole.

Tuttavia, noi non siamo affatto una nazione modello anzi. Il modello libanese lo deformiamo tutti i giorni attraverso i nostri pregiudizi e la nostra ignoranza. Ma nei fatti, frutto di una vocazione che ci è stata inculcata, noi cristiani e musulmani viviamo fianco a fianco, all'interno di una comunità culturale e di una eguaglianza civile che non ha pari al mondo. E questo modello, per quanto imperfetto, è ancora oggi una opportunità per il mondo o ancora, per rifarci alle parole di Michel Eddé, "la risposta alla sua angoscia". Buongiorno Mahmoud, grazie Maroun. Questo modello ha sorpreso e colpito in modo così profondo Benedetto XVI, che sembrava essere dispiaciuto di non aver fatto visita prima al Libano.

Ecco: è proprio il Papa, rispetto al momento buio di Achrafieh, il picco luminoso dell'anno 2012. Momento di felicità e di grazia. Noi, a nostra volta, siamo dispiaciuti che Benedetto XVI non abbia infuso prima la sua pozione antropologica magica, quella che abbiamo gustato e bevuto senza troppo riflettere nel suo passaggio al palazzo presidenziale di Baabda.

In un discorso così conciso e ristretto da sembrare un caffè che si serve sui tavoli dei bar di Roma, certo per una questione di tempi, Benedetto XVI ci ha dato i consigli più preziosi e utili. Questo testo, che va riletto con attenzione per quanto è denso di significati, si presenta un po' come il completamento teologico dell'Esortazione apostolica alle Chiese del Medio oriente, del quale costituisce un elemento inseparabile.

Fate attenzione, avverte in buona sostanza il Papa, rivolgendosi agli artefici di un Libano ancora esposto al pericolo di crolli e del quale intere parti sono ancora oggi in rovina: per costruire la pace, bisogna mettere le fondamenta nel cemento armato; una sana e giusta antropologia che definisce ciò che noi intendiamo per "uomo", e che tiene conto di tutto quanto vi è nell'uomo e nel mondo, il visibile e l'invisibile. Quando costruite, fate i conti con quanti - nel medesimo istante, senza che voi siate necessariamente in grado di vederli - cercano di distruggere: "Che gli uomini di Stato e i responsabili delle religioni vi riflettano!" esortava il Papa nel suo discorso. "Dobbiamo essere ben coscienti che il male non è una forza anonima che agisce nel mondo in modo impersonale o deterministico. Il male, il demonio, passa attraverso la libertà umana, attraverso l'uso della nostra libertà. Cerca un alleato, l'uomo. Il male ha bisogno di lui per diffondersi. È così che, avendo offeso il primo comandamento, l'amore di Dio, viene a pervertire il secondo, l'amore del prossimo. Con lui, l'amore del prossimo sparisce a vantaggio della menzogna e dell'invidia, dell'odio e della morte. Ma è possibile non lasciarsi vincere dal male e vincere il male con il bene. È a questa conversione del cuore che siamo chiamati. Senza di essa, le 'liberazioni' umane tanto desiderate deludono, perché si muovono nello spazio ridotto concesso dalla ristrettezza di spirito dell'uomo, dalla sua durezza, dalle sue intolleranze, dai suoi favoritismi, dai suoi desideri di rivincita e dalle sue pulsioni di morte". 

È tenendo conto di questi avvertimenti, che bisogna rileggere certe frasi del discorso di Benedetto XVI: "L'indifferenza o la negazione di ciò che costituisce la vera natura dell'uomo impediscono il rispetto di questa grammatica che è la legge naturale inscritta nel cuore umano [...]  Dobbiamo dunque unire i nostri sforzi [musulmani e cristiani] per sviluppare una sana antropologia che comprenda l'unità della persona. Senza di essa, non è possibile costruire l'autentica pace".

L'11 ottobre 2010, all'apertura della 1ma Congregazione generale del Sinodo sul Medio oriente, a Roma, Benedetto XVI aveva improvvisato una meditazione profetica sulla "caduta degli dei" e la nascita di un nuovo mondo dal dolore. Nel mistero di Betlemme e della Chiesa, che noi festeggiamo in questi giorni, il Papa vedeva "un mistero cosmico". Per lui, "il Cristo nasce ogni giorno in tutte le generazioni e così accoglie, racchiude in se stesso l'umanità. E questa nascita cosmica si compie nel grido della Croce, nel dolore della Passione. Ed è a questo grido della Croce, che appartiene il sangue dei martiri".

Detto in altro modo e in maniera più modesta, la pace in Libano e in Medio oriente non potrà che fondarsi sulla "violenza degli uomini di pace", a qualsivoglia comunità essi appartengano. E "la gloria del Libano", della quale qualcuno parla con troppa superficialità, è e resterà sempre inseparabile dalla croce. Ed è per mezzo di lei, che il Libano entrerà alla fine nella terra promessa di una maturità politica e umana tanto decantata da tutti, e pur sempre un pochino carente. 

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