25/07/2007, 00.00
CINA
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In un momento per lei non felice, l’Associazione patriottica festeggia i suoi 50 anni

Creata il 2 agosto 1957, l’Ap ha oggi scarsa capacità di effettuare quel ruolo di cinghia di trasmissione del governo per il quale è nata. Per il suo anniversario ha mandato 5mila “inviti”, ma ci saranno assenze.

Pechino (AsiaNews) – A giorni, il 2 agosto, l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi celebrerà 50 anni di vita. Per l’occasione sono partiti 5mila “inviti”, ma già si sa che più di qualcuno troverà la scusa buona – ed il coraggio – per non essere presente.

Nell’attesa dei festeggiamenti, la sorveglianza nei confronti di vescovi, sacerdoti e fedeli cattolici si è fatta più stretta. Sia per gli ufficiali che per i “sotterranei”, a confermare quella “unicità” della Chiesa cinese della quale parla Benedetto XVI nella sua recente Lettera ai cattolici cinesi.

E’ che non è un buon momento per la potentissima Associazione patriottica (Ap): creata come parte dell'Ufficio affari religiosi della Repubblica popolare, con la funzione di trasmettere gli ideali del Partito nella Chiesa cattolica, oggi ha oltre 3mila segretari, vicesegretari e capo-uffici, più i diversi impiegati locali. Sono loro che controllano i circa 5 milioni di cattolici ufficiali: decidono le nomine dei vescovi; “consigliano” loro le nomine dei parroci, scelgono gli insegnanti dei seminari, valutano le vocazioni maschili e femminili per l’entrata in seminario o nei conventi, sovrintendono alla gestione amministrativa delle diocesi. In quest’ultimo ruolo, in più di un’occasione sono stati accusati dai “sotterranei” di essersi appropriati dei beni delle diocesi o di averne facilitato l’appropriazione da parte di industrie e commercianti, statali e privati.

Per i cattolici fedeli al papa, l’Ap è “il nemico”. Nella recente Lettera di Benedetto XVI c’è verso di essa una condanna senza attenuanti. Nominata esplicitamente solo in una nota (la n. 36), dell’Associazione patriottica nel testo si dice che “non corrisponde alla dottrina cattolica” la sua “pretesa” di “porsi al di sopra dei Vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale”. Sempre all’Ap il Papa si riferisce parlando di “persone non ‘ordinate’, e a volte anche non battezzate” che “controllano e prendono decisioni circa importanti questioni ecclesiali, inclusa la nomina dei Vescovi (n. 8)” e quando ammonisce che la comunione e l'unità “sono elementi essenziali e integrali della Chiesa cattolica: pertanto il progetto di una Chiesa ‘indipendente’, in ambito religioso, dalla Santa Sede è incompatibile con la dottrina cattolica (n. 8)”.

E’ un’opposizione teologicamente fondata sui concetti di comunione, gerarchia e primato petrino, che contraddice clamorosamente l’affermazione del suo uomo più potente, il vicepresidente, Liu Bainian, un laico. “Non c’è l’ombra di una controversia teologica”, ha detto in un’intervista al quotidiano italiano La Repubblica a proposito dei rapporti dell’Ap con la Santa Sede, nella quale ha anche detto di sperare in una visita del Papa a Pechino.

Una “speranza” sulla quale Benedetto XVI, ieri non ha fatto commenti. Ai giornalisti che lo seguono nel suo periodo di riposo a Lorenzago, tra le montagne del Cadore e che gli hanno presentato la questione, si è limitato a rispondere: ''Non posso parlare in questo momento. Non c'e' tempo. E' un po' complicato”.

Il fatto è che tra Vaticano e Ap è muro contro muro, che contrasta con la mano tesa e la disponibilità che la Lettera del Papa offre al governo cinese.

Per questo, proprio quella di Liu Bainian sarebbe la prima testa a saltare – in qualche modo – qualora il governo dovesse decidere per la linea di pacificazione con la Santa Sede. D’altro canto, le varie Associazioni patriottiche che, con nomi differenti, controllano le diverse fedi religiose, in 50 anni sono divenute uno strumento obsoleto. Ormai hanno influenza solo su una bassa percentuale dei credenti, un terzo dei 300 milioni di persone che aderiscono ad una fede religiosa, secondo una inchiesta ufficiale pubblicata ad inizio anno. E non riescono neppure a garantire quella “armonia” sociale che il presidente Hu Jintao vuole per plasmare una Cina “più giusta e uno sviluppo più equilibrato”. (FP)

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