06/03/2006, 00.00
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Iran e Al Qaida, la minaccia di embargo e la guerra al sistema finanziario mondiale

Il blocco delle esportazioni di greggio potrebbe portare alla crisi del dollaro e dell'euro, con il ritorno all'oro, auspicato da Bin Laden, che bloccherebbe l'economia mondiale.

Milano (AsiaNews) – Nel caso di un suo deferimento all'Onu, o in caso di attacco Usa o d'Israele ai suoi siti nucleari, Teheran ha minacciato più volte un embargo petrolifero contro l'occidente. Gli auspici del direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, Mohammed el Baradei, su un possibile accordo con l'Iran sul nucleare e le prese di posizione di Arabia Saudita e Kuwait che hanno chiesto all'Opec di non tagliare le quote produttive del greggio sembrano per ora andare in direzione opposta.

La minaccia dell'embargo petrolifero

Se attuata, la minaccia iraniana potrebbe avere conseguenze estremamente gravi. Dal punto di vista economico, il peso del petrolio iraniano è relativo. La produzione iraniana al dicembre 2005, 3,9 milioni di barili/giorno (b/g) è, infatti, solo il 4,62 % del consumo mondiale – 84,5 milioni di b/g (stime Opec 4° trimestre 2005 ed elaborazione dell'autore). La minaccia iraniana diventa però credibile se accettiamo l'ipotesi secondo cui la mobilitazione islamista per le vignette "blasfeme" è manovrata dall'Iran, e contiene un monito ai governi dei Paesi islamici: non pensino di potersi sottrarre ad un eventuale embargo petrolifero contro gli Stati Uniti e forse anche contro l'Europa. Dopo il furore di questi giorni, anche il semplice equilibrismo nei confronti di infedeli blasfemi verrebbe considerato sacrilego. Se ipotizziamo una partecipazione dei Paesi islamici dell'Opec (cioè Algeria, Indonesia, Iran, Kuwait, Libia, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi) all'embargo petrolifero, il totale delle esportazioni petrolifere – 19,815 milioni di b/g – è pari al 61,06 % del totale delle importazioni di Nord America, Europa, Giappone, Australia, Corea del Sud e Taiwan – pari a 32,452 milioni di b/g (dati Opec del 2004, ultimo consuntivo disponibile). Rispetto al consumo petrolifero globale la percentuale della produzione petrolifera (23,169 milioni di b/g) dello stesso gruppo di Paesi islamici è stata il 27,42 % (elaborazione su stime Opec del dicembre 2005). Rispetto al consumo totale nel 4° trimestre 2005 dei Paesi OCSE, pari a 50,5 milioni di b/g, la percentuale risulta essere il 45,88 %.

Prezzi alle stelle e depressione economica

In realtà la minaccia è ancora più pesante. Attualmente il prezzo di equilibrio della curva di domanda del petrolio, in base a considerazioni empiriche di mercato, è attorno ai 60 dollari/bbl. In caso di perturbazioni di mercato estreme, si possono ipotizzare quotazioni pari a tre, quattro volte il prezzo di equilibrio ed anche di più.

Per i Paesi esportatori, che partecipassero ad un embargo petrolifero, quotazioni attorno ai 200 dollari/bbl non costituirebbero un problema perché alla riduzione quantitativa dei volumi di vendita corrisponderebbe un incremento dei ricavi unitari. Diversa sarebbe, invece, la situazione per i Paesi importatori, perché nel breve termine è impossibile il ricorso ad altre fonti energetiche.

Si calcola che già con quotazioni sopra i 100 dollari/bbl si produrrebbe una consistente caduta del Pil mondiale. A 200 dollari/bbl gli effetti sarebbero quelli di una grande depressione. Ad essa si aggiungerebbe una grave crisi bancaria, finanziaria e monetaria. L'insolvenza delle imprese, travolte dalla depressione, e dei privati, travolti da una bolla immobiliare incontrollabile per l'inevitabile rialzo dei tassi d'interesse, trascinerebbe le banche in una generale insolvenza. A catena l'insolvenza bancaria trascinerebbe in una crisi devastante tutti i mercati finanziari, travolti dalla valanga di liquidità finanziaria atipica – derivati, coperture a termine ecc. – prodottasi da zero in questi ultimi due decenni, soprattutto a causa dei redditi del mercato petrolifero. Infine agli effetti della la triplice crisi economica, bancaria e finanziaria si aggiungerebbe una crisi monetaria strutturale e di sistema. L'innesco verrebbe dalla fuga dal dollaro ed in seguito anche dall'euro. Ormai da tempo incombe sul dollaro la minaccia che precipiti sui mercati l'enorme massa di liquidità finanziaria accumulatasi negli anni. Basterebbe pertanto un piccolo sommovimento per mettere in moto la valanga. Attualmente a 60 dollari/bbl, il valore globale annuale delle esportazioni dei paesi Opec, escluso l'Iraq, è di 533 miliardi di dollari. A 200 dollari/bbl, a parità di volume di esportazioni, l'ammontare sarebbe di circa 800 miliardi di dollari. Ma anche un ammontare minore avrebbe probabilmente un effetto deflagrante. Che questa possa essere la strategia di chi vuole affossare l'America è abbastanza evidente. L'euro, però, non sarebbe in grado di soppiantare il dollaro come valuta di riserva: l'euro, come tutte le monete moderne, non ha alcun valore in sé, ma deriva la sua consistenza dall'essere uno strumento di pagamento avente corso legale. Il quadro di riferimento politico dell'euro è l'accordo di Maastricht, inserito nella bozza di Costituzione europea, che non è stata ratificata. Ne consegue pertanto che anche l'euro è afflitto da una precarietà strutturale. Inoltre l'Europa non è né militarmente, né politicamente, né economicamente in grado di esercitare una supremazia autonoma.

Il crollo della credibilità e della fiducia nelle monete come dollaro ed euro (e di altre monete) porterebbero come ipotesi ad un ritorno alla parità aurea (il famoso "gold standard", lo strumento ed il cardine degli scambi internazionali, mai posto in discussione, almeno fino al 1914). Con la prima guerra mondiale la convertibilità aurea fu sospesa e reintrodotta qualche anno dopo. Ma la fine del secondo conflitto mondiale vide il definitivo tramonto del "gold standard" con gli accordi di Bretton Woods, a causa delle spese di guerra.

Per gli islamisti come Osama Bin Laden, le conseguenze della Grande guerra furono la fine dell'ultima residua fonte di legittimità politica tradizionale, il Califfato Ottomano, e, nel 1917, la dichiarazione Balfour che autorizzò gli insediamenti ebraici su una terra dell'Islam, la Palestina. Sempre dal punto di vista di Al Qaida, la Seconda guerra mondiale portò non solo alla fondazione dello Stato d'Israele ma, soprattutto, all'insediamento, in quasi tutte le terre islamiche, di regimi nazionalisti in cui il potere politico è disgiunto da quello religioso. Secondo il pensiero islamista, tutti questi regimi nazionalisti arabi, hanno governato con il terrore e la corruzione, imponendo la truffa dell'inflazione e della svalutazione della cartamoneta, emessa dai governi stessi al posto dell'oro. Per Bin Laden, dunque, il dollaro, le monete ad esso collegate e tutti i mercati monetari e finanziari sono strumento di una "illegittima" dominazione degli "infedeli" sull'Islam.

Al Qaida e il sistema finanziario basato sull'oro

Nell'ottica degli islamisti, occorre, dunque, cambiare le regole del gioco ed in primo luogo scardinare i mercati finanziari mondiali. Purtroppo il momento è per loro favorevole: sottomano non abbiamo né alternative al petrolio né un nuovo "gold standard". Per Al Qaida e gli islamisti il momento è ora e solo ora. Tra sette, otto anni i regimi occidentali si saranno resi meno dipendenti dal petrolio e tra 20 anni disporranno di una fonte di energia illimitata e pulita grazie alla tecnologia della fusione nucleare. Per questo Bin Laden, pur di ribaltare gli assetti politici ed economici mondiali, è pronto ora a rischiare un vero cataclisma economico e finanziario per il mondo. Se, infatti, le valute internazionali perdessero credibilità, il ricorso all'oro (non è un caso se Al Qaida offre remunerazioni espresse in oro) precipiterebbe il mondo intero in una deflazione senza precedenti. Ne deriverebbe una povertà generalizzata. La quantità di metallo disponibile sarebbe, infatti, del tutto insufficiente come base e copertura numeraria per tutti gli interscambi di beni. A causa della sempre maggiore suddivisione del lavoro per unità di reddito prodotto, le economie moderne, infatti, si contraddistinguono per un numero di transazioni merceologiche molto maggiore rispetto ad epoche passate. Reintrodurre la parità aurea equivarrebbe ad un regresso di secoli, se non di millenni. Il punto vero è che purtroppo il sistema monetario attuale ha delle carenze enormi ed ormai vistose. Lo testimoniano le ricorrenti crisi finanziarie mondiali da quella asiatica a quella russa a quella dell'Argentina, per citarne alcune. Queste crisi sempre più frequenti testimoniano, soprattutto, che esiste un problema strutturale irrisolto, precedente alle iniziative degli islamisti per far precipitare gli eventi. Al Qaeda soffia sul fuoco. Se riuscisse ad imporre la propria supremazia, ritiene di poter imporre al mondo un sistema economico antiquato basato sull'oro e sulle regole complicate della sharia applicata alla finanza. In seguito, pensa di potere gestire il potere finanziario e politico conquistato, graduando, rallentando o addirittura impedendo l'introduzione delle innovazioni tecnologiche.
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