21/02/2019, 08.24
IRAQ
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Iraq: coworking e start-up, la sfida dei giovani per combattere la disoccupazione

Il settore pubblico è saturo e non riesce ad assorbire la richiesta di impiego. Per il 2019 il governo spenderà 52 miliardi in stipendi e pensioni, con un aumento del 15% rispetto all’anno precedente. Fondamentale rilanciare privati e imprese, sfruttando le moderne tecnologie. Appello alle banche: prestiti senza interessi e aiuti ai giovani. 

Baghdad (AsiaNews) - Intrappolati fra una infinita lista di attesa per un lavoro governativo e un settore privato tuttora fragile, gli imprenditori irakeni - soprattutto i giovani - cercano di rispondere all’elevata disoccupazione creando proprie start-up. Le prime avvisaglie di questo nuovo spirito creativo - ormai diffuso in Occidente, ma ancora agli albori in diverse aree del Medio oriente (escluso Israele) - erano emerse nel 2013; tuttavia, l’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis) aveva portato alla sospensione di molti progetti già pronti a partire. 

Ora, con la sconfitta almeno sul piano militare del Califfato, incubatori e spazi di coworking torano a fiorire in una nazione in cui il tasso di disoccupazione si aggira attorno al 10% e il settore pubblico è già sovraccarico - e indebitato - per poter assumere. E molti dei nuovi imprenditori e innovatori iniziano il loro viaggio nel mondo del business in un edificio in vetro, nel centro di Baghdad: The Station. 

Al suo interno, fra una tazza di caffè e scaffali colmi di libri - che i jihadisti davano alla fiamme - prendono forma nuove idee e progetti, si animano discussioni attorno alle scrivanie condivise, mentre giovani irakeni alla moda cliccano sui loro portatili. “Stiamo cercando - sottolinea il direttore esecutivo Haidar Hamzoz - di creare una nuova generazione, con una mentalità diversa”. 

“Vogliamo dire ai giovani - racconta in un’intervista all’Afp - che possono iniziare i loro progetti, raggiungere i loro sogni, e non solo gioire per un lavoro governativo che, magari, nemmeno vogliono”. Del resto la popolazione giovanile in Iraq rappresenta il 60% del totale di 40 milioni di abitanti e, dopo la laurea, la maggior parte aspetta anni in attesa di una chiamata da un ufficio pubblico o per un contratto governativo, principale datore di lavoro del Paese. 

Secondo quanto riferisce la Banca mondiale, negli ultimi anni quattro su cinque nuovi posti di lavoro provengono dal pubblico. Per il budget 2019, il governo prevede di spendere 52 miliardi di dollari in stipendi, pensioni e assistenza sociale per i propri lavoratori, con un aumento del 15% rispetto all’anno precedente e pari alla metà del bilancio complessivo. 

Tuttavia, lo Stato non può soddisfare tutte le richieste e sempre secondo dati della Bm il 17% dei maschi e il 27% fra le donne (di giovane età) resta senza lavoro. Un annoso problema rilanciato nei giorni scorsi anche dal patriarca caldeo, il card Louis Raphael Sako, nel suo intervento alla 55ma edizione della Conferenza sulla sicurezza di Monaco (Germania), in cui ha invocato nuove  “opportunità lavorative per i giovani”. 

Quando lo Stato islamico ha conquistato potere e territori nel nord dell’Iraq nel 2014, elevando a capitale Mosul, Saleh Mahmud è una delle centinaia di migliaia di persone costrette a fuggire per scampare alla follia jihadista. Andandosene, egli ha dovuto chiudere a forza uno dei pochissimi incubatori della metropoli del nord. Con la cacciata dei miliziani nel 2017, egli è rientrato e ha riaperto i battenti. “Circa 600, 700 giovani - racconta il 23enne - sono già passati per Mosul space” per partecipare a seminari o incontri per l’avviamento all’impresa. 

Un’altra start-up, Dakkakena, cerca di capitalizzare lo spirito di rinascita. Si tratta di un marketplace in rete specializzato nella consegna a domicilio di beni e prodotti, per decine di famiglie rientrate dopo la guerra. “Sul web - sottolinea il 27enne fondatore Yussef al-Noaime, che ha mutuato l’idea durante gi anni di esilio in Olanda - possiamo vendere a prezzi inferiori rispetto ai negozi, perché abbiamo costi inferiori”. Un servizio simile, Miswag, è nato a Baghdad nel 2014 e lo scorso anno ha registrato centinaia di migliaia di dollari di profitti. 

I pionieri del settore spiegano che sono due gli elementi da cui partire: il settore pubblico è saturo e il petrolio non è la sola risorsa per l’Iraq. “Le banche - conclude la 26enne startupper Tamara Raad - giocano un ruolo essenziale. Devono fare prestiti senza interessi e aiutare i giovani imprenditori”.

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