13/08/2012, 00.00
PAKISTAN
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Islamabad, leader cristiano incriminato per blasfemia con false accuse

di Jibran Khan
Secondo la denuncia egli avrebbe inviato messaggi telefonici offensivi sulla madre di Maometto. Esperti di legge parlano di errori procedurali nel capo di accusa. Attivisti per i diritti umani promettono battaglia in tribunale. Mons. Rufin Anthony: è un caso di “inimicizia personale”.

Islamabad (AsiaNews) - Le norme sulla blasfemia in Pakistan sono ancora una volta pretesto per colpire - senza prove - esponenti delle minoranze religiose. Il reverendo Zafar Bhatti, presidente della Jesus World Mission, si trova in carcere con l'accusa di aver violato la "legge nera"; in queste ore i giudici stanno decidendo se accogliere o meno l'istanza di appello e ordinare il rilascio su cauzione. Egli è rinchiuso con l'accusa di aver inviato sms telefonici con un contenuto offensivo nei confronti dell'islam e del profeta Maometto da un leader musulmano. Secca la replica di leader cattolici e attivisti per i diritti umani, che sostengono l'innocenza dell'uomo e parlano di "pressioni" sulla polizia ed errori procedurali negli atti dell'inchiesta.

Il rev. Bhatti è originario di Karachi, ma nel 2010 si è trasferito a Lahore, nella colonia di Nawaz Sharif dove ha vissuto per due anni. Egli ha lavorato a lungo in difesa dei diritti dei cristiani e delle minoranze religiose. Di recente, il 10 luglio scorso, ha deciso di traslocare di nuovo con la famiglia, alla volta della capitale Islamabad. Il giorno successivo, a sorpresa, è stata presentata una denuncia a suo carico presso la polizia di New Town, a Rawalpindi, da parte di Ahmed Khan, vice-segretario del movimento islamico Jamat Ehl-e-Sunnat.

Secondo il rapporto degli agenti, Khan avrebbe ricevuto sul proprio numero di telefono alcuni messaggi - da parte di un numero visibile, ma non registrato in memoria - contenente linguaggio oltraggioso nei confronti della madre di Maometto. Egli si è rivolto alla polizia, minacciando di movimentare l'ala estremista se gli agenti non avessero aperto un fascicolo per blasfemia, alla sezione 295-C del Codice penale.

La vicenda presenta diversi aspetti poco chiari, tra i quali lo stesso capo di accusa nei confronti del reverendo cristiano. Per legge chi viola gli articoli 295 B e C del Cpp rischia anche la pena di morte. Tuttavia, l'offesa nei confronti della madre del profeta è regolata dalla sezione 295 A e prevede pene più lievi.

Il 16 luglio gli agenti hanno arrestato Bhatti e la cognata Nasreen Bibi e, durante il regime di custodia cautelare, lo hanno sottoposto a torture e abusi per estorcere una confessione mai arrivata. Egli respinge infatti con sdegno l'accusa e si dichiara innocente. La moglie si è rivolta agli attivisti di All Pakistan Minorities Alliance (Apma), l'associazione fondata da Shahbaz Bhatti, chiedendo giustizia. Oggi è prevista l'udienza in tribunale per decidere sulla richiesta di rilascio dietro cauzione.

Khalid Jill, di Apma, sottolinea che "Zafar Bhatti è innocente" e "daremo battaglia per liberarlo". Egli aggiunge che la polizia ha aperto un fascicolo "dietro pressioni" e "ci appelleremo contro l'errore relativo all'articolo di legge nella citazione in giudizio". Gli fa eco mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, che si chiede "come la polizia può essere così sicura" dell'identità del colpevole. E aggiunge: "è chiaro - rivela il prelato - che in questo caso siamo al cospetto di una vicenda frutto di inimicizie personali", probabilmente legate alla proprietà di alcuni terreni. 

 

 

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