06/05/2015, 00.00
AFGHANISTAN
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Kabul, quattro condannati a morte per l’omicidio di Farkhunda la “blasfema”

La donna era stata accusata ingiustamente di aver bruciato il testo sacro dell’islam. Centinaia di persone si erano scagliate contro di lei, fomentate dalle accuse del mullah. I genitori hanno dichiarato da subito l’estraneità della ragazza. La prossima settimana si terrà il processo per 19 poliziotti coinvolti nel linciaggio.

Kabul (AsiaNews) - Questa mattina quattro uomini sono stati condannati a morte per l’uccisione di Farkhunda, la donna di 28 anni accusata ingiustamente di aver bruciato una copia del Corano vicino la moschea di Shah-e-Do Shamshera a Kabul. Il fatto risale allo scorso 19 marzo quando una folla inferocita ha prima picchiato la ragazza con bastoni e pietre, poi ne ha bruciato il corpo senza vita e lo ha gettato nelle acque del fiume Kabul.

Fin da subito erano emerse contraddizioni nel racconto dei testimoni, alcuni dei quali sostenevano l’estraneità della giovane. In seguito è emerso che a scatenare la folla contro la ragazza era stato il mullah della moschea vicino alla quale si è consumato l’omicidio. I genitori di Farkhunda hanno raccontato alla stampa che la figlia si era recata dall'uomo per chiedergli di smettere di ingannare le persone scrivendo falsi Tawiz (un amuleto contenente versetti del Corano che, secondo la tradizione, protegge chi lo indossa), con cui il mullah si arricchiva.

Nei giorni successivi all’omicidio decine di persone avevano manifestato nelle strade di Kabul chiedendo un immediato processo a carico dei colpevoli, tra cui anche diversi poliziotti che hanno assistito inermi di fronte alle violenze.

Durante il processo, alcuni degli imputati hanno ammesso di essere stati spinti dalle affermazioni dei presenti. Oltre ai quattro uomini condannati alla pena capitale, altri otto dovranno scontare 16 anni di prigione e 18 persone sono state dichiarate innocenti. La prossima settimana la corte deciderà anche della sorte di 19 poliziotti coinvolti nel linciaggio, per i quali l’accusa è di non aver compiuto il loro dovere nel difendere la ragazza.

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