29/10/2005, 00.00
PAKISTAN - INDIA
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Kashmir: l'inverno senza pietà e la globalizzazione

di Bernardo Cervellera

Un "inverno senza pietà" aspetta le popolazioni del Kashmir, del Pakistan e dell'India, dopo il terremoto che l'8 ottobre scorso ha cancellato forse per sempre l'esistenza di migliaia di villaggi e città sulle pendici dell'Himalaya. Il bilancio, sempre provvisorio, al 26 ottobre, è di 54 mila morti e di oltre 77 mila feriti. Vi sono famiglie intere, con fratelli, sorelle, zie, cugini, uccisi dai crolli provocati dal sisma. Un immigrato pakistano di Londra ha perso a Muzaffarabad 27 familiari in una sola notte. Lo strazio per il dolore immane continua nella pena quotidiana dei senzatetto, nella mancanza di cliniche e ospedali, anch'essi crollati, nella penuria di dottori e infermieri, vittime anch'essi del terremoto. La neve che sta per cadere sul Kashmir trova, nei casi più fortunati i superstiti affollati in tendopoli che riescono ben poco a proteggere dal freddo e dalle aspre intemperie della montagna. A quasi un mese dal sisma, alcuni villaggi in alta quota sono impossibili da raggiungere a causa delle frane, del maltempo e dei pochi mezzi aerei (elicotteri) a disposizione del governo pakistano.

Questo "inverno senza pietà" non è solo prodotto dal clima: esso è anche frutto della risposta fredda della comunità internazionale. Dopo la scossa dell'8 ottobre l'Onu ha lanciato un appello agli Stati membri per un aiuto d'emergenza di 312 milioni di dollari. Alla fine di ottobre ne ha ricevuti solo 67,8 milioni, oltre ad "impegni" per altri 35 milioni nei prossimi 6 mesi. Masood Khan, ambasciatore pachistano a Ginevra, ha annunciato il 26 ottobre scorso che l'Onu aumenterà la richiesta di aiuti da 312 a 549 milioni di dollari. Ma non è certo che questa cifra -  minima per il nostro mondo superdotato – potrà essere raccolta. L' "inverno senza pietà", il freddo intenso, rischia di uccidere ancora più persone se presto non si va loro in aiuto.

Benedetto XVI – quasi percependo la stanchezza del nostro mondo del benessere – ha chiesto fin dall'inizio che la comunità internazionale risponda con aiuti "rapidi e generosi" alle vittime del terremoto nell'Asia del Sud. E invece gli aiuti non sono né rapidi, né generosi.

Mons . Pascal Topno, arcivescovo di Bhopal (India), ha subito fatto il paragone con la generosità mostrata dalla comunità internazionale davanti al maremoto nell'Oceano Indiano. La popolazione mondiale, egli ha detto, "ha risposto in maniera spontanea" davanti alla tragedia dello tsunami che ha devastato il sud-est asiatico, ma "per questo disastro non si è visto lo stesso zelo".

Cosa è mancato a questa tragedia delle montagne per destare l'emozione e la generosità del mondo? Certo il nostro mondo globalizzato ha bisogno di immagini e sulle alture povere del Kashmir non vi erano benestanti turisti che filmassero – come è avvenuto a Pukhet e su tutte le spiagge del sud-est – il disastro in diretta. Non vi sono grossi interessi economici internazionali su queste pietre la cui bellezza è sciupata da una guerra pluridecennale fra il Pakistan e l'India. E diciamo anche che non vi sono occidentali fra le vittime, se si eccettua qualche sfortunato diplomatico. Nulla a che vedere con le mete dei pellegrinaggi turistici delle Maldive e della Thailandia, che hanno reso lo tsunami dello scorso dicembre un vero disastro dell'era globalizzata, mescolando nello stesso destino ricchi e poveri, occidentali e orientali.

La tragedia del Kashmir è tutta e solo una tragedia "locale". Ma essa è resa tale dalla scelta di governi, media e persone che pur predicando la globalizzazione e l'unità del mondo, cacciano lontano da sé esperienze e dolori di decine di migliaia di nostri simili. Fra coloro che hanno osato rischiare una fraternità oltre i confini "troppo localizzati" vi sono le Caritas di tutto il mondo e perfino i poveri dello tsunami: dalle isole Andamane e Nicobar sono partiti tende, abbigliamento invernale e biscotti per le popolazioni colpite del Kashmir. E anche i cattolici pakistani - minoranza spesso perseguitata - hanno donato soldi e beni per i colpiti. Mons. Joseph Coutts di Faisalabad ha commentato: "I poveri possono essere generosi anche con il poco che hanno". La globalizzazione non ha solo bisogno di mezzi, ma anche di un cuore mosso dalla fede.

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