08/06/2017, 08.56
IRAQ
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Kurdistan, il 25 settembre si vota il referendum per l’indipendenza da Baghdad

Nella regione hanno trovato rifugio centinaia di migliaia di profughi - cristiani, musulmani e yazidi - in fuga dallo Stato islamico. L’area è ricca di petrolio e gas naturali ed è da tempo contesa fra autorità locali e governo centrale. Contrarie al progetto anche Turchia, Siria e Iran per il timore di secessioni interne. 

 

Erbil (AsiaNews/Agenzie) - La regione autonoma del Kurdistan terrà un referendum il prossimo 25 settembre, per decidere sull’indipendenza da Baghdad e la creazione di una entità territoriale autonoma. A darne notizia ieri i vertici curdi a Erbil, nonostante il vasto fronte interno al Paese che si oppone alla divisione dell’Iraq. 

In questi anni nella regione hanno trovato riparo centinaia di migliaia di cristiani, oltre che di musulmani e di yazidi, fuggiti dalla piana di Ninive, per l’arrivo dello Stato islamico.

L’ufficio della presidenza del Kurdistan ha diffuso una nota in cui conferma che “il 25 settembre 2017 è la data indicata per lo svolgimento del referendum” sull’indipendenza. 

La regione del Kurdistan irakeno è formata da tre province, che sono affidate alla guida di un governo autonomo regionale e protette da forze di sicurezza locali. Le mire indipendentiste incontrano un vasto consenso nella popolazione locale, ma sono osteggiate da gran parte del Paese e dalla comunità internazionale, perché contribuiscono ad alimentare l’instabilità della nazione. 

Il comunicato diffuso dalla presidenza regionale curda ricorda una delle questioni più controverse legate all’indipendenza, affermando che il referendum si terrà “nella regione del Kurdistan e nelle aree del Kurdistan non controllate dall’amministrazione locale”. Il riferimento è ai territori del nord rivendicati sia dal Kurdistan che da Baghdad, ricchi di petrolio e di gas naturali. Fra questi l’area di Kirkuk, ora in maggioranza sotto il controllo dei Peshmerga.

Negli ultimi tempi sia Baghdad che la regione curda sono attraversate da una profonda crisi economico-finanziaria, acuita dal crollo dei prezzi del petrolio; difatti i proventi dalla vendita del greggio rappresentano la grande maggioranza delle entrate.  

Inoltre, pur a fronte di un vasto movimento favorevole all’indipendenza curda, al loro interno i curdi irakeni si presentano divisi; spaccature e contrasti che rischiano di paralizzare fin da subito il nascituro Stato. 

A questo si aggiunge l’opposizione di alcune potenze regionali: Turchia, Siria e Iran hanno al loro interno una nutrita comunità curda e sono contrarie alla nascita di una entità indipendente curda, nel timore - di Ankara su tutti - che essa possa alimentare mire secessioniste. 

Fra le voci critiche e contrarie alla divisione del Paese vi è quella della Chiesa caldea, che opera da tempo per l’unità dell’Iraq di fronte ai problemi interni e alle minacce esterne (fra cui lo Stato islamico). L’opposizione del patriarcato non riguarda solo eventuali mire indipendentiste dei curdi, ma anche i progetti alimentati da alcuni gruppi cristiani che rivendicano la creazione di un  “ghetto cristiano” nella piana di Ninive.

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