07/01/2010, 00.00
GIAPPONE
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L’eredità spirituale del card. Pietro Shirayanagi

di Pino Cazzaniga
Un uomo che ha vissuto per innestare la fede cattolica nel terreno apparentemente arido del suo Paese. La visita di Giovanni Paolo II e la beatificazione dei martiri giapponesi. Al suo funerale, il discorso di Niwano, capo della Risshokoseikai, associazione laica buddista di cui il cardinale era direttore spirituale.
Tokyo (AsiaNews) – Due giorni fa la cattedrale cattolica di Tokyo si è ripiena di fedeli e un centinaio di sacerdoti e 18 vescovi hanno fatto corona all’arcivescovo Pietro Okada, per partecipare ai funerali del card. Pietro Seiichi Shirayanagi, deceduto il 30 dicembre. Il nunzio apostolico mons. Alberto Bottari de Castello ha rappresentato Benedetto XVI; mons. John Tong, vescovo di Hong Kong, le Chiese dell’Asia; il vescovo ausiliare di Colonia, mons. Manfred Melzer, e numerosi missionari, in rappresentanza dell’Europa. Nel testimoniare affetto e gratitudine al presule defunto, l’assemblea è risultata l’icona della Chiesa giapponese, come si è andata formando negli ultimi 30 anni.
 
Al servizio dell’evangelizzazione e del dialogo
 
Il 15 dicembre del 2007 ricevendo in udienza i vescovi giapponesi, Benedetto XVI ha detto: “Il vostro compito, oggi, è di trovare le vie per rendere vivo il messaggio di Cristo nell’ambiente culturale del Giappone moderno. Anche se i cristiani formano soltanto una piccola percentuale della popolazione, la fede è un tesoro che esige di essere condiviso con tutta la societa’ giapponese”.
 
A quell’udienza Shirayanagi non era presente, perché per ragioni di età e di salute aveva chiesto di essere liberato dall’impegno della direzione della Chiesa di Tokyo, ma quelle parole del papa devono essere risuonate le suo cuore come balsamo di consolazione. Dal giorno della sua ordinazione sacerdotale ( maggio del 1954) fino a pochi mesi prima della morte non ha fatto altro che impegnarsi per “rendere vivo il messaggio di Cristo nell’ambiente culturale del Giappone attraverso l’evangelizzazione e il dialogo.
 
Durante la cerimonia funebre ci sono stati solo due discorsi: quello dell’arcivescovo Okada e quello del dott. Niwano, figlio del fondatore dell’associazione laica buddista Risshokoseikai. Shirayanagi per molti anni è stato richiesto e accolto come direttore spirituale di quella associazione. Niwano ha concluso il breve ma commovente addio recitando la preghiera di san Francesco d’Assisi, la medesima che 10 anni prima il vescovo Shirayanagi aveva recitato durante il funerale di suo padre. Forse mai, come dopo il discorso di Niwano, i cattolici di Tokyo hanno capito l’importanza e la fecondità del dialogo interreligioso.
 
Tre avvenimenti sintetizzano l’eredita’ spirituale lasciata dal cardinale Shirayanagi: la visita in Giappone del papa Giovanni Paolo II (febbraio 1981); la convenzione nazionale per l’evangelizzazione (NICE: acrostico di National Incentive Convention for Evangelization: Kyoto 1987) e la beatificazione di 188 martiri giapponesi (Nagasaki 2008). In tutte e tre gli avvenimenti Shirayanagi ha svolto un ruolo di primo piano.
 
Shirayanagi e l’evangelizzazione
 
È diffusa l’opinione che il seme del Vangelo in Giappone cade in un terreno sterile. L’esiguo numero di cristiani sembra avallarla.  Dopo oltre mezzo secolo di attività missionaria i cattolici sono circa 400 mila su una popolazione di oltre 122 milioni di abitanti. Shirayanagi ha sempre respinto la tentazione del disfattismo. “Non credo - ha detto in un’intervista - che il criterio delle statistiche sia il migliore per giudicare il valore di una Chiesa”. Ha però ammesso che la Chiesa cattolica qui è stata lenta nell’accogliere la dottrina e l’energia riformatrice del Vaticano II. Il processo di effettiva ricezione si è messo in moto solo negli anni 80.
 
L’avvenimento che ha favorito la svolta è stata la visita in Giappone del Papa Giovanni Paolo II durante il suo primo viaggio asiatico: febbraio 1981. Il Papa è venuto in questo Paese soprattutto come “pellegrino della pace”. Di conseguenza, la città simbolo e centro di quella visita è stata Hiroshima dove nell’immenso piazzale che ha al centro il cenotafio delle vittime della bomba atomica, il pontefice ha pronunciato la preghiera per la pace che ha commosso il mondo intero.
 
Ma l’efficacia pastorale di quella visita del papa sulla Chiesa giapponese non è stato meno forte. Sotto questo aspetto le città protagoniste sono state Tokyo e Nagasaki. L’arcivescovo Shirayanagi gli è stato sempre accanto aiutandolo a leggere la realtà. Alla fine del viaggio Giovanni Paolo II ha lasciato alla Chiesa giapponese un’indicazione e un’esortazione: ha indicato l’evangelizzazione come impegno primario di tutta la Chiesa giapponese, laici compresi, e ha esortato la Conferenza episcopale a procedere per una nuova beatificazione di martiri.
 
Da quel giorno Shirayanagi ha concentrato la sua attività e la sua capacità di leadership per la realizzazione dei due obiettivi. La realizzazione della convenzione nazionale per incentivare l’evangelizzazione ha richiesto un lavoro preparatorio di sei anni che è stato fecondo: ha aiutato questa Chiesa a fare dell’evangelizzazione l’elemento della propria identita’
 
La beatificazione di 188 martiri
 
Il 24 novembre del 2008 nello stadio della città di Nagasaki si è tenuta la solenne cerimonia di beatificazione di 188 martiri. È stata una beatificazione tutta giapponese: era la prima volta che una cerimonia di beatificazione avveniva sul suo suolo e che i martiri beatificati erano tutti giapponesi.
 
Per decisione di Benedetto XVI la cerimonia è stata presieduta dal card. Shirayanagi, che allora non era più né presidente della Conferenza episcopale giapponese, né arcivescovo di Tokyo. Ma sul piano esistenziale era la persona più adatta. È vero che il movimento per la beatificazione di questi martiri è iniziato con l’esortazione di Giovanni Paolo II, ma è anche vero che quell’esortazione collimava con il desiderio di Shirayanagi e altri vescovi che non osavano esprimerlo.
 
Quella cerimonia è stata per Shirayanagi il coronamento ideale di tutta la sua vita non tanto per l’onore che gli veniva concesso ma perché il motivo di quella beatificazione coincideva con l’ideale di tutta la sua vita: l’evangelizzazione del suo Paese. In un’intervista rilasciata tempo fa ad AsiaNews parlando di quei martiri aveva detto: “Erano persone normali, artigiani, commercianti, o guerrieri, persone esemplari nell’osservanza dell’ordine sociale che però non hanno esitato a rifiutare la sottomissione  a decreti dello shogun o dei daimyo quando si opponevano alla fede e alla dignità della persona umana”.
 
Quei 188 martiri giapponesi sono stati beatificati perché hanno dato la vita per gli stessi valori che oggi sono minacciati dal relativismo che serpeggia nella società giapponese: è stata questa la convinzione del card. Pietro Shirayanagi .
L’eredità spirituale del card. Pietro Shirayanagi
 
Un uomo che ha vissuto per innestare la fede cattolica nel terreno apparentemente arido del suo Paese. La visita di Giovanni Paolo II e la beatificazione dei martiri giapponesi. Al suo funerale, il discorso di Niwano, capo della Risshokoseikai, associazione laica buddista di cui il cardinale era direttore spirituale.
 
 
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