03/06/2004, 00.00
OPEC – CINA
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L'Opec a Beirut: un mondo troppo dipendente dal petrolio

di Maurizio d'Orlando

Gli occhi del mondo e dell'Asia in particolare sono puntati su Beirut, alla riunione dell'Opec (l'Organizzazione delle nazioni esportatrici di petrolio), che oggi cerca una via per ridurre i prezzi del petrolio. Nei giorni scorsi il prezzo al barile è giunto a 42 dollari, un nuovo massimo storico che rischia di frenare la ripresa mondiale dell'economia. Già ieri sera, dopo le promesse dell'Opec di aumentare la produzione, i prezzi sono discesi. Un esperto del mondo petrolifero valuta le mosse della comunità internazionale.

Milano (AsiaNews) - Il prezzo del greggio ha di nuovo toccato i massimi storici ma scenderà perché tutti, tranne Al Qaeda e qualche speculatore di borsa, hanno interesse a contenere i prezzi. Il problema delle attuali elevate quotazioni del greggio come AsiaNews ha già fatto rilevare è dovuto non tanto alle tensioni in Medio Oriente ed alle conseguenze della guerra in Iraq o agli attentati in Arabia saudita ma al forte aumento della domanda in Cina ed in generale in tutta l'Asia, un evento imprevisto sia dall'Opec che dai paesi occidentali che dagli stessi cinesi ed asiatici.

L'Arabia Saudita

Per calmierare i prezzi l'Arabia Saudita ha già annunciato un aumento unilaterale della produzione di 800 mila di barili al giorno (b/g) e si stima abbia portato le estrazioni al livello record di 9 milioni di b/g. Insieme agli altri paesi del golfo Persico ha chiesto inoltre che tutta l'Opec aumenti quanto più possibile le estrazioni. Solo l'Iran ed il Venezuela sembrano opporsi a tali incrementi di produzione. La riunione dell'Opec di oggi non dovrebbe pertanto riservare sorprese: si prevede che i paesi membri dell'organizzazione aumenteranno la produzione di circa 2,5 milioni di b/g, pari circa al 140 % dell'intera produzione attuale dell'Iraq. Rispetto ai 23,5 milioni di b/g, l'attuale limite concordato tra i paesi Opec, si tratta di un incremento di più del 10 %. Per la verità già adesso i paesi Opec producono 2 milioni di b/g più di quanto concordato. L'incremento reale che dovrebbe scaturire dalla decisione sarà dunque di soli 500 mila b/g. Anche gli altri paesi che non fanno parte del cartello Opec, come la Russia ed il Messico, hanno comunicato che faranno quanto possibile per rendere disponibili quantitativi addizionali di greggio e calmierare i prezzi. Gli aumenti produttivi dovrebbero pertanto essere sufficienti a ridurre la pressione della domanda asiatica sui mercati.

La Cina ha scorte solo per una settimana

Il naturale incremento della domanda cinese è infatti stimabile tra 750'000 ed un milione di b/g ed il governo cinese, per evitare di surriscaldare i propri costi di approvvigionamento energetico, ha introdotto drastiche misure amministrative, tra cui una parziale restrizione alla concessione delle licenze di importazione. Si tratta di provvedimenti efficaci ma forse un po' bruschi. A parte il taglio alle forniture elettriche in molte provincie cinesi, da molti episodi si deduce che è stata ridotta la disponibilità di carburanti: per tale ragione ad esempio in alcune provincie costiere le flottiglie di pescherecci rimangono bloccate nei porti. Secondo fonti dirette di AsiaNews il livello di scorte petrolifere cinesi è inferiore all'equivalente di una settimana di consumi. Le drastiche misure amministrative cinesi non dovrebbero però mancare di rapidamente calmierare i prezzi d'acquisto del petrolio come è già successo per altre materie prime. Ad esempio le quotazioni internazionali del minerale di ferro, di cui il governo cinese ha repentinamente bloccato le licenze di importazione, sono letteralmente precipitate nel giro di poche settimane anzi di giorni.

L'Opec frena le fonti alternative di energia

Anche i paesi produttori di petrolio, che pure nel breve termine beneficiano degli alti prezzi, non hanno interesse a che le quotazioni rimangano elevate nel medio e lungo termine per due ragioni. In primo luogo perché si rischia così di soffocare la ripresa economica mondiale che, se è vigorosa in Asia, in altre aree come l'Europa stenta invece a decollare. Ne potrebbe derivare un calo dei consumi petroliferi mondiali e questo comporterebbe poi un successivo crollo delle quotazioni, più dannoso dei momentanei benefici dei prezzi elevati incassati in un primo momento. Soprattutto ne deriverebbe un'incertezza in merito ai futuri ricavi petroliferi. I paesi esportatori, che derivano molte delle proprie entrate fiscali dalle imposte di produzione, hanno interesse, viceversa, ad una stabilità degli introiti, particolarmente ai fini di una migliore programmazione della proprio spesa pubblica. Se infatti i prezzi di borsa del petrolio variano di minuto in minuto non è per contro praticamente possibile per i paesi Opec dilatare o comprimere a fisarmonica gli impegni di spesa fiscale programmati . Si pensi ad esempio agli stanziamenti pluriennali per la costruzione di una strada o per gli stipendi dei funzionari statali.. In secondo luogo i paesi esportatori di petrolio devono cercare di evitare che prezzi troppo elevati del greggio spingano i consumatori nel medio e lungo periodo a cercare di sviluppare fonti alternative di energia. Si tratta in particolar modo dell'energia nucleare da impianti convenzionali e di quella idroelettrica. In seguito, quando la ricerca avrà messo punto la tecnologia, il futuro sarà quella abbondante ed a bassissimo costo derivante dalla fusione nucleare. Allo stato attuale delle conoscenze le fonti di energia rinnovabili, che sfruttano cioè il sole o il vento o le onde marine ad esempio, difficilmente potranno fornire un contributo percentualmente significativo. Il fatto è che il petrolio è la fonte di energia più conveniente proprio perché ha semplicemente un bassissimo costo di produzione. Il costo industriale del greggio nei principali paesi produttori del Medio Oriente è infatti di circa un dollaro al barile, il resto cioè 37 / 38 dollari al barile, quasi il 97,5 % delle quotazioni riportate, è costituito in grandissima parte da canoni di concessione ed imposte di estrazione. Alle compagnie petrolifere va una quota percentualmente molto minore ma che dati i volumi prodotti garantisce solitamente utili enormi.

I paesi consumatori e le tasse sul petrolio

Curiosamente anche i governi dei paesi consumatori hanno trovato il modo di finanziare con i derivati del petrolio il bilancio dello Stato grazie alle imposte sui carburanti. A seconda dei paesi il prezzo alla pompa è costituito per il 60 / 80 % da tasse al consumo. In definitiva il barile di petrolio che costa alla produzione un dollaro al barile, in occidente viene pagato dal consumatore, incluse le tasse, da 100 a 190 dollari al barile. In definitiva una buona parte delle risorse per la spesa pubblica sia nei paesi produttori che consumatori proviene dal petrolio. Ne consegue che tutti hanno interesse ad una stabilità dei prezzi su livelli concorrenziali, incluse le compagnie petrolifere che devono fare investimenti a lunghissimo termine. Se l'aumento di produzione che verrà deciso dall'Opec non dovesse per ipotesi essere sufficiente è probabile che l'Arabia Saudita interverrebbe nuovamente aumentando la esportazioni. Dalle sue decisioni dipende infatti in larga misura il livello mondiale dei prezzi del petrolio perché è in pratica l'unico paese al mondo che in maniera significativa può aumentare o diminuire quasi a suo piacere il volume delle estrazioni e delle esportazioni. Tutti gli altri paesi hanno invece dei vincoli di varia natura, in primo luogo tecnico funzionali. Nel breve periodo è dunque prevedibile che i prezzi del petrolio possano scendere. Ovviamente a condizione che i terroristi di Al Qaeda non riescano nel loro ormai chiarissimo intento di bloccare le forniture dai terminali del golfo Persico e coagulare intorno ad un programma di intransigenza islamica contro il secolarismo laicista occidentale le popolazioni in maggioranza sciita che abitano nelle zone di produzione petrolifera in Iraq, in Arabia ed in Iran.

In tal caso ci sarebbe da attendersi incrementi dei prezzi petroliferi del 100 / 200 % rispetto ai valori di equilibrio di lungo periodo che gli esperti valutano attorno ai 30 dollari al barile.

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