10/03/2005, 00.00
HONG KONG - CINA
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La (poco gloriosa) fine politica di Tung Chee-hwa

di Gianni Criveller

Hong Kong (AsiaNews/Mondo e Missione) - La questione delle dimissioni del Capo Esecutivo di Hong Kong, Tung Chee-hwa, che ha tenuto Hong Kong in una sorta di limbo politico dall'inizio di marzo (2005), si è finalmente risolta oggi, alle ore 17:30, con l'annuncio delle dimissione dell'interessato, il primo leader post-coloniale di Hong Kong, ora ufficialmente denominata Regione ad Amministrazione Speciale (SAR). Il primo annuncio di dimissioni, dato alla vigilia del viaggio di Tung Chee-hwa a Pechino (3 marzo), è stato circondato da sorpresa e incredulità.

Il maldestro rifiuto di Tung di negare o confermare le voci circa le sue dimissioni ha semplicemente amplificato il carattere rocambolesco, da teatrino di basso impero, della fine politica di Tung. Appariva chiaro che c'erano complesse manovre in corso, e molte questioni non erano ancora risolte: come salvare la faccia di Tung Chee-hwa? Chi scegliere come suo successore? Per quanto tempo avrebbe dovuto governare quest'ultimo? Per i 2 anni che rimanevano al termine del mandato di Tung, o per 5 anni, la durata cioè del mandato del capo esecutivo, come stabilito dalla mini costituzione di Hong Kong (la legge base)?

Alla prima questione, come salvare la faccia a Tung, si è provveduto nominandolo prima membro e poi uno dei numerosi vicepresidenti della Conferenza Politica Consultativa del Popolo. Esso è, in effetti, un titolo del tutto onorifico, dato a funzionari intermedi in pensione. Le ragioni ufficiali delle dimissioni sono, in perfetto stile 'politically correct', di carattere medico. Tung, 68 anni, non ha nessuna malattia specifica, ma appariva da mesi particolarmente affaticato e provato. Provato dal dover sopportare con un forzato sorriso la raffica impietosa di critiche che negli ultimi mesi le autorità di Pechino hanno impietosamente scaricato contro di lui.

Strano e triste destino per un uomo, chiaramente inadeguato al ruolo storico a cui è stato chiamato, che è sempre stato più 'papista del papa', zelante oltremodo non solo ad assecondare i desideri di Pechino, ma persino ad anticiparli. In realtà la fine politica di Tung non è stata determinata dai suoi innumerevoli errori politici; dalla sua inesperienza; dal suo stile di governo autoritario e paternalista allo stesso tempo; dall'incapacità di farsi apprezzare ed amare dalla gente. No, nonostante tutto questo fosse evidente da anni, Tung era rimasto saldamente al suo posto, mentre cadevano, come capri espiatori, i suoi collaboratori più vicini.

A cominciare da Anson Chan, la popolarissima numero due dell'Amministrazione,'costretta' a dimettersi nel gennaio del 2001; Regina Yip, 'ministro dell'Interno' di ferro, dimessasi (luglio 2003) dopo la gestione inconsulta della legge sulla sicurezza nazionale; Antony Leung, ministro delle Finanze, dimessosi per uno scandalo finanziario (luglio 2003); Yeoh Eng-kiong, ministro della Salute, l'unico che ha assunto responsabilità politica (dimissioni nel luglio 2004) per la controversa gestione dell'epidemia SARS; Lam Woon-kwong, 'Civil Service's Secretary', dimessosi (gennaio 2005) ufficialmente per uno scandalo familiare, in realtà per contrasti con Tung.

Soprattutto Tung non si è messo da parte quando quasi tutta Hong Kong, con la storica manifestazione del 1 luglio 2003, è scesa in piazza per chiedere le sue dimissioni. Il 1 luglio 2004 la grande manifestazione si è ripetuta, con la stessa enorme partecipazione popolare.

La fine di Tung Chee-hwa è invece intervenuta come ineluttabile conseguenza del tramonto del suo pigmalione politico, l'ex uomo forte del regime, Jiang Zemin. Jiang ha perso la sua influenza politica con l'abbandono della carica di presidente della commissione militare del partito comunista (settembre 2004). Da allora Tung è diventato una non-persona, un mister nessuno di cui potersi sbarazzare senza difficoltà. A dicembre viene umiliato pubblicamente da Hu Jintao, l'attuale presidente, durante la visita di quest'ultimo a Macao. Il mese successivo tocca al vice-presidente, Zeng Qinghong, dichiarare, per almeno due volte di seguito, che Tung deve correggere i suoi errori e migliorare la sua amministrazione. Tung ha dovuto far buon viso a cattiva sorte per alcune settimane, ma il messaggio era troppo ovvio: doveva farsi da parte, e più nessuno a Pechino lo avrebbe sostenuto o difeso.

Eppure il clima politico di Hong Kong, da qualche mese a questa parte, stava in qualche modo migliorando. La società aveva trovato sollievo nella ripresa economica, Tung Chee-hwa non era più oggetto di critiche quotidiane. Negli ultimi 2 anni che gli rimanevano avrebbe potuto forse recuperare un po' di popolarità, ottenere qualche buon risultato, e lasciare un ricordo di sè persino moderatamente positivo. Ma il regime comunista, sempre più in mano a Hu Jintao, un leader reazionario piuttosto che riformista, ha mostrato la sua faccia più cinica. Coloro che lo servono con più zelo e servilismo, come Tung Chee-hwa, sono i primi ad essere scaricati quando dovesse cambiare il termometro politico.

Il successore di Tung, che sembra dover essere l'attuale numero due Donald Tsang. Tsang, un devoto cattolico, è assai più esperto e popolare di Tung, e ha senz'altro aspirazioni democratiche e liberali. Tuttavia egli sarà strettamente controllato da Pechino. Infatti, sembra ormai certo, gli saranno concessi solo due anni di amministrazione, in lampante contraddizione con il dettato della legge base. Gli spazi di manovra di Tsang saranno molto limitati. Pechino vuole dare a Hong Kong un leader più capace e popolare, in vista di una maggiore stabilità sociale. Ma nello stesso tempo il governo centrale ha mostrato chiaramente, anche dal modo in cui ha gestito questa crisi, la volontà di estendere sempre più efficacemente il controllo sulla città. Da tutto questa vicenda ciò che emerge più di ogni altra cosa è un consistente ridimensionato degli originali principi su cui è basata Hong Kong: 'un paese – due sistemi', 'la gente di Hong Kong governa Hong Kong', e 'alto grado di autonomia.'  

La vera svolta sarebbe quella di indire elezioni popolari per il 2007, cosa la legge base non esclude, e far scegliere al popolo i propri governanti. Ma questo è destinato a rimanere, per molti e molti anni ancora, soltanto un sogno.

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