23/01/2012, 00.00
CINA
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La Cina, l’illusione della stabilità e l'imminente cambio di potere

in un’intervista al Journal of International Affairs, il grande dissidente Wei Jingsheng dipinge il quadro della società e della politica cinese. Che può cambiare solo con un forte scossone, imparando a concedere democrazia e diritti umani ai suoi cittadini, se vuole rimanere nel novero delle grandi potenze mondiali. Qualche speranza per il cambio di leader, ma molte critiche a chi pensa di poter trattare con il Partito comunista. Alcune considerazioni sul passaggio da Hu Jintao a Xi Jinping.
New York (AsiaNews) – Il 5 dicembre del 1978, Wei Jingsheng – all’epoca elettricista presso lo Zoo di Pechino – attaccò un manifesto su un muro di mattoni di Xidan intitolato “La Quinta Modernizzazione” che diceva: “La democrazia è la nostra unica scelta… Se vogliamo modernizzare la nostra economia, scienza, esercito e altre aree, allora dobbiamo come prima cosa modernizzare il nostro popolo e la nostra società… Senza democrazia, la società diverrà stagnante e la crescita economica incontrerà ostacoli insormontabili”.

L’appello raro e pubblico di Wei per la democrazia fece vibrare una corda nel popolo cinese, che era esausto per i fallimenti del comunismo e per la Rivoluzione culturale. Il muro di mattoni di Xidan si riempì presto di altre critiche al regime, e divenne noto come “Muro della democrazia”. Tuttavia, la “Primavera di Pechino” ebbe vita breve. Wei venne arrestato il 29 marzo del 1979 e condannato a 14 anni e mezzo di galera. Venne rilasciato nel settembre del 1993 per poi essere arrestato di nuovo nel febbraio 1994 con l’accusa di aver intrapreso attività politiche.

Venne deportato negli Stati Uniti nel 1997, quando la comunità internazionale riuscì a esercitare sulla Cina le pressioni necessarie al suo rilascio. Dopo aver vissuto in esilio per quasi quindici anni, oggi Wei discute la sua visione della Cina con Rebecca Chao, giornalista del Journal of International Affairs(1).

La Cina è divenuta negli ultimi decenni più democratica o più autoritaria?

Sembra che oggi ci sia un nuovo corso nel pensiero occidentale, secondo cui la Cina sarebbe più democratica rispetto a prima. Molti politici, accademici e giornalisti occidentali pensano che il Paese stia diventando più libero e più aperto. Ma io credo che la democrazia sia prima di tutto una tipologia di sistema politico. La Cina non ha cambiato il suo sistema politico, quindi come si può dire che sta divenendo più o meno democratica? Questo modo di pensare è molto deviante, e non fa altro che rendere le persone più tolleranti rispetto all’autoritarismo del sistema politico cinese.

In che modo l’economia e la forza delle relazioni diplomatiche della Cina con l’Occidente hanno cambiato le sue dinamiche politiche interne?

Credo che l’enorme crescita economica della Cina abbia indebolito in maniera molto seria la capacità occidentale di mettere pressione a Pechino. I capitalisti occidentali, negli Stati Uniti e in Europa, ricavano enormi profitti dall’economia di esportazioni cinese: quindi oggi è loro interesse parlare bene del Partito comunista. Tutti i politici hanno bisogno di fondi per le loro campagne elettorali, quindi i grandi capitalisti usano il loro benessere per convincere i politici a mettere in campo delle strategie che vadano a loro favore: e quindi anche a favore della Cina. Parlo di quelle politiche tese a mantenere lo status quo sulla questione del diritti umani e dei diritti dei lavoratori. È divenuto sempre più ovvio che è il mondo del capitalismo a controllare la politica, nonostante questo fatto faccia arrabbiare il cittadino medio.

Vista la feroce politica repressiva della Cina sul dissenso, come può il popolo cinese raggiungere un giorno l’indipendenza?

Vorrei iniziare con un paragone fra la Cina continentale e Taiwan. Ho visitato Taiwan in diverse occasioni per parlare con i loro rappresentanti governativi. Mi hanno detto che la situazione migliore per la Cina continentale sarebbe intraprendere una strada di cambiamenti graduali e pacifici, proprio come loro. In teoria, sono d’accordo con la possibilità di un cambiamento pacifico, ma la Cina e Taiwan hanno delle differenze di base che sono fondamentali. Il Kuomintang ha governato Taiwan con un sistema politico autoritario. Ma il Kuomintang era, per dirla con le parole di Chien Foo, ipocrita (2). Voleva che Taiwan fosse democratico e ammetteva persino che un governo autoritario era un governo che usava un sistema politico illegittimo. Molte persone, a Taiwan, non capiscono che la Cina comunista crede invece di essere legittimata a usare un sistema autoritario, e vuole mantenere il sistema a partito unico per controllare meglio la nazione e il popolo. Il Partito comunista può anche usare un linguaggio democratico, ma è soltanto una coperta, proprio come Mao Zedong che parlava di “dittatura democratica”. Io non credo che il sentiero percorso da Taiwan verso la democrazia – che include la partecipazione di diversi partiti politici e una transizione pacifica del potere – sia applicabile anche in Cina. Fino a che il Partito comunista insiste nel sistema mono-partitico, l’unico modo in cui si può arrivare alla democrazia è attraverso la rivoluzione.

Alcuni pensano che il governo cinese abbia ammansito la popolazione dal punto di vista politico, concedendo loro livelli mai visti di libertà individuale e maggiori opportunità socio-economiche. Ma che, nel contempo, ha proibito loro di riunirsi e di organizzarsi. Lei pensa che la maggioranza del popolo cinese sia felice con questo governo e che soltanto una piccola minoranza voglia vedere la democrazia?

Questo modo di pensare, che il governo dà libertà ai singoli ma non ai gruppi, è sbagliato. Il Partito comunista non ha mai concesso alcuna libertà agli individui. Come si può pensare che i singoli siano liberi, se non possono riunirsi, associarsi o fondare partiti politici? In altre parole se non c’è libertà di unirsi dal punto di vista politico allora non c’è libertà alcuna. Questa è la verità. Il benessere, in Cina, è concentrato nelle mani dei ricchi. Esiste un enorme divario fra ricchi e poveri, così le statistiche che dicono che la Cina è la seconda economia più grande al mondo sono sbagliate. Se non sei un animale, ma sei un essere umano non puoi apprezzare questo governo. È semplicemente impossibile.

Una volta lei ha criticato Liu Xiaobo (3), definendolo “troppo moderato”. Perché?

Prima di spiegare perché ho criticato Liu Xiaobo, mi permetta di dire una cosa. Dopo il suo arresto, sono stato uno di coloro che ha lavorato con più forza sperando in una sua scarcerazione. Anche se i nostri modi di vedere sono diversi, io credo che si debbano usare tutti i mezzi a disposizione per salvare ogni attivista cinese che è in galera. Inoltre io ho criticato Liu Xiaobo dopo che ha ricevuto il Nobel per la pace, non prima.
Io non sono d’accordo con il modo con cui Liu pensa di poter trattare con la Cina comunista. Perché? Liu e i suoi seguaci portano avanti e promuovono un approccio pacifico, non violento e dialogico con il governo, e io credo che questo sia del tutto sbagliato. Una volta qualcuno ha chiesto al Mahatma Gandhi: se un gruppo di banditi viene nella tua città e con violenza ti chiede di dar loro tutti i soldi che hai, che cosa dovresti fare? Gandhi rispose che i banditi dovevano essere combattuti. Non esiste un modo pacifico e dialogico di trattare con i banditi. Il governo cinese dovrebbe essere trattato proprio come questi banditi, perché è chiaro che i membri del Partito sono tiranni. Tutto il mondo concorda nel dire che l’auto-difesa è un diritto umano, che un popolo ha il diritto di ricorrere alla forza contro la tirannia. Se il governo usa la forza contro il suo popolo, perché non dovrebbe avvenire il contrario? Da un punto di vista teorico, l’idea di Liu Xiaobo è sbagliata. Il suo modo di pensare potrebbe funzionare in un governo democratico, ma non in un governo autoritario. In una democrazia, il popolo risolve le divergenze in maniera pacifica tramite il negoziato e lo stato di diritto: non ha bisogno di ricorrere alla forza. Il cosiddetto principio pacifico, non violento e dialogico di Liu Xiaobo implica che il popolo non può combattere contro chi lo tiranneggia e non può usare la forza per abbattere il governo comunista. Lui ha più volte chiesto di negoziare con il governo tramite colloqui pacifici ma, nonostante il suo impegno per la moderazione, il Partito lo ha sbattuto in galera. Come si può negoziare con un governo comunista?

Qualcuno dice che i leader comunisti sono semplicemente pragmatici, che vorrebbero conciliare i diritti umani con una maggiore prosperità economica e stabilità sociale se vedessero un modo per riuscirci. Lei pensa che sia possibile?

Secondo questa teoria, mentre l’economia cinese si sviluppa e prospera, la democrazia dovrebbe svilupparsi in maniera automatica, dato che funzionari cinesi pragmatici sanno che la crescita non può continuare se non si danno alcune libertà al popolo. Questa teoria è molto popolare ma è sbagliata. Se ci si pensa, la verità è che i rappresentanti del governo fanno molti soldi tramite potere e corruzione: perché dovrebbero volere dei cambiamenti, dare il loro benessere ad altre persone? Questo non accadrà in Cina e non accadrà in America. I capitalisti americani non daranno il loro denaro al popolo. Perché dovrebbero farlo? D’altra parte, dire che il Partito comunista darà più soldi al popolo dato che aumenta la prosperità economia è sbagliato e irrealistico. Qualcuno dice che i comunisti sono molto pratici, e questo è vero. Ma proprio perché sono pratici non vogliono dare al popolo libertà e diritti umani. In verità, vogliono soltanto estendere l’autoritarismo cinese. Se danno i diritti umani al popolo, questo avrà il diritto di appellarsi contro i funzionari: ovvero, contro di loro. Perché dovrebbero farlo? Se non fossero pratici, ma invece un poco più idealisti, potrebbero concedere libertà e diritti umani.

Nel 1987 lei scrisse una lettera a Deng Xiaoping dicendo che sarebbe passato alla storia “come un grande saggio o come un despota infame”, ma non l’ha inviata. Cosa pensa oggi di Deng Xiaoping? E quanto pensa che la Cina sia progredita, dal punto di vista politico, da allora?

In realtà io inviai la lettera dalla prigione, nel 1987. Una guardia mi aiutò, portandola in motocicletta fino a Pechino, lo stesso giorno in cui finii di scriverla. All’epoca le guardie mi rispettavano, in prigione. Non so se Deng l’abbia ricevuta o meno. Se è avvenuto, lui avrà fatto finta di non averla mai avuta. Nel 1989 ho scritto una lettera criticandolo in maniera aspra e avvertendolo che “l’unica strada rimasta erano le dimissioni”. È ironico, ma quattro giorni dopo si è dimesso. Io credo ancora che Deng Xiaoping sia stato un despota. Ha protetto e mantenuto il sistema del Partito comunista, e questo era il suo carattere di base. Nel 1979, quando ha messo in atto le riforme economiche, qualcuno credeva che anche la politica sarebbe cambiata. Ma Deng e i suoi seguaci mantennero il Partito al potere.

Se Deng Xiaoping non fosse stato così duro con il dissenso politico dopo i fatti di piazza Tiananmen, questi avrebbero potuto mettere a rischio la crescita economica cinese?

Se Deng avesse perso il controllo nel 1989 si sarebbero potuti verificare dei cambiamenti politici, e io credo che oggi l’economia sarebbe più aperta. Sarebbe almeno uguale a quella attuale. Le economie basate sul mercato hanno bisogno di libertà e di stato di diritto, per crescere. In realtà, nel 1989 il governo controllava la politica in maniera molto stretta ma manipolava anche l’economia. La leadership sentiva che un’economia in crescita avrebbe dato molto più potere al popolo, rendendo difficile il mantenimento della stabilità sociale. Di conseguenza, dopo gli eventi del 4 giugno 1989, il pensiero principale del governo è stato mantenere la stabilità politica.

Crede che la transizione del potere da Hu Jintao al suo presunto erede Xi Jinping nel 2012 sarà tranquilla? E questa transizione cosa ci dice sullo stato di salute del Partito comunista?

Io credo che la prossima transizione non sarà poi così tranquilla. In superficie potrà sembrarlo, ma all’interno non sarà semplice. E questo per alcuni motivi. Il primo è che la resistenza della popolazione cinese a questo scambio di poteri è più seria di quelle mai avvenute. Quasi ogni giorno ci sono proteste nelle strade e macchine della polizia che vengono rovesciate. Ad esempio le proteste su larga scala che sono avvenute nell’area di Xintang, provincia del Guangdong, nel giugno 2011 dopo che la polizia aveva molestato una venditrice ambulante incinta. A quanto ne so io ci sono state proteste simili quasi ogni giorno, nella prima metà di quel giugno. Sembra che questo tipo di movimento sia ovunque, in Cina. Il popolo è arrabbiato, la società è instabile e ha bisogno di un cambiamento.
La seconda ragione importante è che, anche se il Partito dichiara che il popolo è soddifatto del governo, i dirigenti sanno che questo sarà sempre più difficile da sostenere. I loro giorni sono contati. Il Partito deve gestire un grande cambiamento di polarità nella società cinese. La media dei cittadini vuole riforme, mentre quei pochi che traggono profitto dallo status quo vogliono che tutto resti così com’è. Ai margini del XVIII Congresso nazionale ci saranno certamente degli scontri.

Parlando di riformisti nel Partito, il premier Wen Jiabao era al fianco dell’allora segretario generale Zhao Ziyang quando questi andò a incontrare i manifestanti di Tiananmen, nel 1989; eppure non è caduto in disgrazia come lui (4). Poco tempo fa, a Londra, il premier Wen ha detto che “senza democrazia non c’è socialismo e senza libertà non c’è vera democrazia”. Perché il Partito permette a Wen di essere così diretto riguardo il processo democratico in Cina?

Il presidente Hu Jintao ha detto la stessa cosa quando ha visitato gli Usa. L’ex presidente Jiang Zemin disse una cosa simile, sempre in America. Persino Deng Xiaoping fece lo stesso. I leader del Partito dicono quello che l’Occidente vuole sentire dire. Ma le loro parole non hanno profondità. Credo che se i media occidentali leggessero tutto quello che i leader cinesi hanno detto in Occidente, capirebbero che tutti hanno detto la stessa cosa. Non ci sono nuovi messaggi: queste parole sono senza senso.

Quali sono le maggiori differenze fra l’attuale generazione di leader e quelli che sarebbero stati scelti per la prossima? Cosa significano queste differenze per il futuro della Cina?

La vecchia generazione di leader del Partito erano attivisti comunisti aggressivi già ai tempi della scuola. Sono stati educati a questo sin da ragazzi e hanno subito il lavaggio del cervello per credere alla propaganda comunista. Non possono cambiare o essere cambiati. Ma i leader della prossima generazione hanno avuto esperienze molto diverse. Parlavano di democrazia quando erano giovani e hanno sofferto per la repressione del Partito. Prendiamo ad esempio il vice presidente Xi Jinping: è stato mandato in alcune delle aree più povere della provincia dello Shaanxi per lavorare come un normale contadino. Quindi, questi successori saranno diversi da Hu Jintao(5). La somiglianza più importante fra queste due generazioni è che sono tutti membri dell’elite, anche se possono pensarla in maniera diversa su quale sia il modo migliore di sostenere l’elite stessa. Non sappiamo in che modo i nuovi pensano di farlo, e io credo che non lo sappiano neanche loro. Ma soprattutto è importante il pensiero della nuova generazione, più nuovo e moderno, e quindi speriamo che portino qualcosa di nuovo al Partito senza seguire in maniera evidente le orme dei vecchi membri.

Fra Deng Xiaoping e Hu Jintao ci sono stati dei cambiamenti su come si sceglie la leadership comunista? E questo come ha influito le dinamiche interne al Partito?

I successori sono ancora scelti in base alla lealtà dimostrata al Partito, ma anche altre qualità di leadership sono importanti. Deng Xiaoping voleva un successore che fosse in grado di gestire bene il Partito, e scelse Jiang Zemin per questo. Jiang scelse Hu Jintao per lo stesso motivo. Ma nessuno sa se uno dei nuovi leader potrebbe divenire un Mikhail Gorbacev della Cina. Nessuno può dire con esattezza cosa farà un nuovo leader.


NOTE:

(1) L’intervista si è svolta il 7 settembre 2011 alla Columbia University. Questa è una versione condensata, rivista e tradotta dello scambio originale.
(2) Frederick Chien Foo è stato ministro degli Esteri di Taiwan dal 1990 al 1996. Il Kuomintang giustificava l’applicazione della legge marziale con il fatto che sarebbe tornato ai metodi democratici una volta ottenuto di nuovo il governo della Cina continentale.
(3) Liu Xiaobo è un famoso scrittore e attivista cinese, che è salito alla ribalta dell’attenzione pubblica nel 2009, quando è stato arrestato e condannato a 11 anni di prigione per aver guidato la stesura di “Charta ‘08”, un manifesto politico che chiede la fine del dominio mono-partitico e un maggior rispetto per i diritti umani. Liu ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2010 per la sua “lunga e non violenta battaglia per i diritti umani fondamentali in Cina”.
(4) Zhao Ziyang è stato un importante riformista del Partito comunista che chiedeva un potere minore per l’apparato. Dopo aver espresso simpatia per i manifestanti di piazza Tiananmen nel 1989 è stato confinato ai domiciliari, dove è rimasto fino alla sua morte nel 2005.
(5) Xi Jinping e Li Keqiang sono in procinto di rimpiazzare il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao nel 2012.
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