22/05/2009, 00.00
GIAPPONE
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La crisi economica per ripensare il Giappone

di Pino Cazzaniga
I risultati negativi del 2008 portano a ingenti perdite, licenziamenti, senzatetto, morti per freddo, pessimismo. È necessario un nuovo sussulto morale.

Tokyo (AsiaNews) – La crisi economica mondiale sta spingendo il Giappone a ripensare il suo modello di sviluppo. Verso la metà di maggio i media hanno presentato la situazione economica della nazione per l’anno fiscale 2008. Il panorama che ne è risultato è assai negativo: le più affermate ditte, nel settore automobilistico e elettronico, che nel 2007 avevano chiuso con profitti record, hanno denunciato perdite di centinaia di miliardi di yen. Non c’è dubbio che la crisi economica giapponese debba essere inquadrata in quella globale, originata dall’incontrollato sistema finanziario negli Stati Uniti. Tuttavia essa assume qui caratteristiche peculiari. Dalla sua retta soluzione dipende il futuro della nazione, sia nel contesto nazionale che in quello dell’Asia. Il Giappone è posto di fronte alla sfida di una svolta epocale.

Fattori culturali alla base della crisi

Konosuke Matsushita (1894-1989), il fondatore della Panasonic (già Matsushita Company), usava dire: “Una recessione, una situazione difficile, è una buona opportunità per riflettere su che cosa è giusto”. Il principio del venerato industriale è citato dall’editorialista dell’Asahi nell’intento di aiutare i giapponesi a superare lo shock procurato dall’improvviso disastro economico.

Shock giustificato. Il 13 maggio lo stesso quotidiano informava i lettori che nel 2008 le 10 principali ditte automobilistiche hanno sofferto una perdita (operating loss) di 320 miliardi di yen (circa 2,5 miliardi di euro) in netto contrasto con la relazione dell’anno precedente che informava di un profitto di oltre 5 mila miliardi di yen (circa 38 miliardi di euro) per le medesime ditte collettivamente prese. Focalizzando l’attenzione sulla Toyota Motor, la maggiore tra le grandi, la visione toglie ogni spazio a illusori ottimisti. Nel 2007 con un guadagno (operating profit) di oltre 3 mila miliardi di yen ( 22,8 miliardi di euro) aveva raggiunto il primo posto tra le ditte automobilistiche del mondo, America compresa; nell’anno fiscale 2008 è andata in rosso con una perdita (operating loss) di 461 miliardi di yen (3,51 miliardi di euro).

Non meno deprimente è la situazione dell'industria elettronica, che, assieme a quella automobilistica, costituisce la base dell’economia giapponese. Secondo la logica delle cifre il futuro non è roseo. I migliori economisti, pur rifiutandosi di diffondere allarmismi paralizzanti, non cedono alla tentazione di dar adito a ottimismi tranquillizzanti. Pare, invece, che sulla linea della filosofia di Matsushita, si stiano impegnando perché la crisi diventi una buona opportunità per riflettere  su ciò che e’ stato sbagliato e su ciò che è giusto fare.

 Il “patriarca” dell’ industria del dopoguerra benché riconosca che “il boom e’ buona cosa, ha anche detto, che una recessione e’ migliore”. Difficoltà e recessioni senza precedenti possono produrre innovazioni senza precedenti, commenta l’editorialista dell’Asahi

Il costo umano della crisi

Secondo una recente relazione del ministero dell’industria in Giappone sono impiegati 486.398 lavoratori stranieri. Ma queste sono cifre ufficiali. È noto che gli stranieri “abusivi” assunti dalle medie e piccole ditte sono molti di più. Osserva il pastore Watanabe:  “Dietro la prosperità dell’economia giapponese, diventata fiorente grazie all’industria automobilistica, c’erano legioni di lavoratori stranieri che hanno lavorato sodo in incerte condizioni di impiego.”

Ma ora la massiccia diminuzione di domanda sui mercati esteri (America ed Europa) ha costretto i complessi industriali a diminuire la produzione e, di conseguenza, a procedere al licenziamento degli operai a tempo, giapponesi e stranieri. Nella sola industria automobilistica oltre 30.000 “temporanei” hanno già perso il lavoro. Particolarmente dolorosa è la situazione dei brasiliani di origine giapponese. La improvvisa disoccupazione li costringe a ritornare in Brasile. La signora Leda Shimaburo, presidente del Gruppo Nikkei, una ong che sostiene questi lavoratori, ha detto che quest’anno ogni mese 150 nippo-brasiliani ritornano al paese di origine e là vengono a trovarsi in condizioni peggiori di quando lo hanno lasciato. Quasi nessuno ha le qualità per un lavoro qualificato e alcuni giovani non conoscono neppure il portoghese.

La via della speranza

Pensare che la crisi si risolva a breve scadenza è illusione. “Abbiamo cominciato a vedere il fondo della crisi”, ha detto Osamu Masuko, presidente della Mitsubishi Motors. “ma non ci sono ancora segni di ripresa”.

Tuttavia siamo convinti che il Giappone può superarla e in modo originale. La sua storia anche recente è a favore della speranza: negli ultimi 150 anni la società giapponese ha saputo rispondere positivamente a due grosse sfide: quella dell’incontro con l’occidente e quella dell’apertura ai valori della democrazia.

La sfida che ora la storia gli propone è quella di impegnarsi per contribuire a creare un nuovo ordine economico. Per potere rispondervi positivamente deve fare appello all’intelligenza e alla moralità. “Una recessione, aveva insegnato Matsushita, è una buona opportunità per pensare che cosa è giusto”, e, applicando il principio all’attuale crisi, per pensare che cosa è stato sbagliato. L’errore non è consistito nello sviluppo intelligente e grandioso dell’economia ma nei fini più o meno esplicitamente perseguiti: denaro e emulazione.

L’immenso impegno svolto dal Giappone con sforzo, costanza e intelligenza mirabili manterrà certamente il suo valore ma solo a condizione che venga usato per l’unico fine che veramente vale: lo sviluppo dell’uomo, e dell’uomo globale.

Sulla parete esterna dell’ufficio centrale della Matsushita Com., incisa sulla pietra, si legge la massima che il fondatore ha lasciato quasi come testamento spirituale.  “Riconoscendo le nostre responsabilità di industriali, dobbiamo consacrare noi stessi al progresso e allo sviluppo della società e al benessere della gente mediante le nostre attività e in questo modo migliorare la qualità della vita nel mondo”

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