23/06/2016, 13.07
CINA
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La fede dei giovani cinesi cresce fra le tentazioni del materialismo e dell’ateismo

di Jin Yan

Una ragazza racconta la sua esperienza di vita: nata in una famiglia cristiana, non ha amici che condividano i valori religiosi. E la società la guarda come un’estranea. Con l’arrivo in una grande città le cose peggiorano: “Da una parte il Dio di mia madre, dall’altra la propaganda e le difficoltà di tutti i giorni”. Un gruppo di preghiera l’aiuta a cambiare rotta: oggi è impegnata nella pastorale giovanile della sua diocesi. Una testimonianza raccolta dal trimestrale Tripod, della diocesi di Hong Kong. Traduzione in italiano a cura di AsiaNews.

Pechino (AsiaNews) – Sono nata negli anni Ottanta del secolo scorso in una famiglia cristiana. La famiglia era “cristiana” perché mia madre proviene da una famiglia cattolica da generazioni, ed è stata lei a portare la fede nella famiglia di mio padre. Quindi sono cresciuta in un’atmosfera che potrei definire religiosa. Andavamo a messa ogni domenica, e ogni sabato sera studiavamo la Bibbia in famiglia. Ma a causa degli anni di persecuzione e della propaganda atea, a quel tempo la fede religiosa – e in modo particolare il cristianesimo – era ancora discriminata da buona parte della società. Quando ero piccola e uscivo per andare in chiesa con mia madre, i nostri vicini si mostravano perplessi oppure chiedevano con sarcasmo: “Andate ancora in chiesa, eh? Ma lì dentro c’è uno stipendio per voi?”.

I miei genitori mi hanno trasmesso la loro fede cattolica e l’abitudine di andare in chiesa, ma io sono stata costretta a crescere da sola in una società piena di influenze anti-religiose. A quel tempo c’erano soltanto due o tre famiglie cristiane nella città dove vivevo, che era il centro della contea. Non avevo amici cristiani della mia età con cui parlare di fede, e nessun insegnante per guidarmi in quest’area. Tutti coloro che mi circondavano avevano un atteggiamento negativo nei confronti della religione, ritenuta una superstizione.

Alle scuole medie apparve nel curriculum di studi il corso su “Ideologia e politica”, e la mia mente iniziò a essere invasa da comunismo e ateismo. Ero divisa fra due mondi: quello della mia famiglia e della sua fede cristiana e quello della scuola, con la sua propaganda e i suoi esami. Nel profondo del cuore credevo che i miei genitori avessero una ragione per la loro fede. Ma con il tempo i dubbi hanno iniziato a farsi strada nella mia testa. Senza il coraggio di sfidare nessuno dei due mondi, sono stata costretta a vivere da sola con il mio dissidio interiore.

Quando ero nei guai mi appellavo al Dio dei miei genitori. Ma il resto del tempo ero sepolta nelle lezioni e nei libri di testo, compresi quelli di propaganda politica. In questo modo sono stata in grado di superare gli esami per l’ammissione al college e cambiare così il mio destino, entrando in una buona università. La fede cattolica era come un seme, seppellito nel profondo del mio cuore dai miei genitori e in attesa del momento giusto per fiorire.

Più tardi sono stata abbastanza fortunata da avere successo negli esami, e mi sono iscritta a un corso di studi di lingue. Con molto più tempo libero nel campus, e con il sostegno dei miei genitori, ho iniziato a cercare strade migliori per vivere la mia fede. Tuttavia ero ancora divisa fra i due mondi: fede e vita. La fede era ancora la stessa che i miei genitori mi avevano donato, ma il luogo in cui praticarla era divenuto una chiesa di città. E i miei genitori non erano con me. Ero ancora sola nella vita, ma questa volta in maniera più totale: dovevo divenire indipendente.

A questo punto ho capito con forza che avevo bisogno di amici della mia stessa età e che fossero cristiani, in modo da poter condividere la fede. Dio si è davvero preso cura dei miei bisogni. Nella città della mia università, ho trovato un gruppo di preghiera all’interno del quale ho conosciuto molti buoni amici. Ci incontravamo ogni fine settimana, andavamo insieme a messa, pregavamo insieme, e tutto finiva sempre con un pasto semplice ma pieno di gioia. Inoltre, nella mia città natale la diocesi aveva organizzato un campo estivo e uno invernale, dedicato agli studenti, dove avrei potuto conoscere molti altri studenti cristiani della mia diocesi.

Insieme pregavamo Dio, condividendo le nostre esperienze e imparando moltissimo sulla nostra fede e sulla Chiesa. Durante questo periodo, però, Dio era ancora “il Dio di mia madre”. Proprio come accadde a Giacobbe (Genesi 28), che conosceva Dio come “il Dio di mio padre, il Dio di Abramo e il Dio di Isacco”. Soltanto quando Lui “mi ha messo sulla strada da percorrere, dandomi pane da mangiare e vestiti da indossare”, rendendo la mia vita più lineare, sarebbe divenuto “il mio Dio”. Altrimenti sarei stata in grado di adirarmi con facilità con Lui, presentando a Lui tutti i miei lamenti.

Comunque sia, le attività di preghiera e la vita comunitaria – sia nei gruppi che nei campi – mi hanno tenuta in stretto contatto con il Signore. Sono stata guidata, quasi in maniera inconscia, a conoscerLo di più e ad avvicinarmi di più a Lui. E alla fine è divenuto il “mio Dio”.

Nel 2008 mi sono laureata, con un master in Lingua e Letteratura inglese. Dato che la mia è un’università molto nota, avrei potuto trovare con facilità un buon lavoro in quella grande città: trasferirmi lì e cominciare, come quasi tutti i miei compagni, una nuova vita. Ma subito prima della cerimonia di laurea, all’improvviso mi sono stancata della vita di città: sembrava che potessi vedere con chiarezza nel futuro, fatto di lavoro, residenza (hukou), famiglia, appartamento, macchina. Ma non volevo passare il resto della mia vita seguendo queste cose.

Volevo un significato maggiore per la mia vita, e cercare di metterlo in pratica. Quindi, dopo un periodo di riflessione, sono tornata nella mia diocesi natale e – sotto lo sguardo di molti occhi interrogativi – sono andata al centro pastorale per iniziare il mio ministero nella Chiesa. Lavorare per la formazione del laicato diocesano, come laica.

All’epoca il Centro pastorale era stato appena inaugurato, c’erano pochi dipendenti e pochissime risorse. Il mio primo compito è stato quello di organizzare l’ufficio, in modo da renderlo capace di gestire i programmi di formazione. Il secondo compito è stato quello di accompagnare i gruppi giovanili. Data la mancanza di colleghi, all’inizio mi sentivo un po’ frustrata: ma il buon Signore non mi ha mai abbandonata. La Sua mano potente era sempre con me.

Un buon tutore di quell’area mi ha dato molto aiuto, soprattutto in termini di spiritualità. Insieme ai benefici delle lezioni di formazione, sono riuscita a comprendere la mia fede e il Dio in cui credo. Ho sentito e sento il Suo grande e incondizionato amore nei miei confronti.

Un giorno, ho visto la mia immagine nel “figlio maggiore” di cui parla il Vangelo di Luca. Anche se non avevo mai lasciato la casa del Padre, non avevo mai compreso il Suo cuore misericordioso. Avevo un cuore freddo ed egoista, molto lontano da Lui. Sapevo che questo era dovuto alla mancanza di educazione religiosa durante la mia giovinezza, ma era dovuto anche alla mia esperienza di dissidio interiore vissuta negli anni precedenti. Quando sono riuscita a capirlo, sono finalmente divenuta il figlio più giovane: quello che può inginocchiarsi e fare così l’esperienza dell’amore del Signore.

Questa crescita personale mi ha preparato per la seconda missione: accompagnare i giovani. Quando li guardo rivedo la mia esperienza e la sensazione di essere perduta, combattendo per tenere viva la fede della mia famiglia in un ambiente ostile! Voglio aiutarli, in modo che non debbano più combattere da soli. Ma non è un lavoro facile: la nostra è un’era di rapido sviluppo, e le tecnologie stanno cambiando il mondo ogni giorno. E con esso cambiano la mente delle persone, e dei giovani in modo particolare. Sono più attivi di noi che siamo nati negli anni Ottanta, la loro vita è più facile ma vivono senza preoccuparsi della storia, della società e del futuro.

Di conseguenza è per me necessario conoscere i loro pensieri, le loro vite e ascoltarli. In questo modo posso esplorare insieme a loro il modo migliore per vivere da cristiani in quest’epoca, sotto lo spirito del Vangelo. Ad esempio “unirsi o meno al Partito comunista” è un pensiero che agita molto gli studenti cristiani. Si tratta di un contesto particolare, a cavallo fra la fede e le aspettative del mondo. Ed è una delle sfide più grandi del nostro lavoro pastorale. Dobbiamo accompagnarli, guidandoli con pazienza, in modo da aiutarli a oltrepassare questo dilemma.

Un altro esempio viene dal momento in cui quasi l’intera nazione era impegnata nel “boicottare tutto ciò che è giapponese”. Ma noi cristiani come dovremmo affrontare questo argomento? E come dovremmo agire? Questo problema richiede ancora una volta da parte nostra un impegno per i giovani, in modo che possano rispondere in maniera appropriata.

Ovviamente “come hai seminato, così raccoglierai”. Ogni anno vi sono studenti che si laureano e lasciano le associazioni studentesche, per andare a vivere in città differenti. La maggior parte di loro, anche dopo il matrimonio e l’inizio della propria famiglia, rimangono cristiani attivi, coinvolti sia nella Chiesa che nella società. Quando questo accade il mio cuore si riempie di gioia, anche se so bene che è Dio a “dare sempre il di più”. Sento di aver trovato quel significato maggiore della vita che cercavo sin dall’inizio. Non sono soltanto nata in una nuova vita, ma ho anche trovato una “carriera” che merita l’impegno di tutta la mia esistenza. Rendiamo grazie a Dio!

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