26/11/2008, 00.00
GIAPPONE - VATICANO
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La fede del Giappone e dell’Asia nella beatificazione dei 188 martiri

di Pino Cazzaniga
La cerimonia è divenuta l’occasione per il rilancio dell’evangelizzazione del Giappone, segnato dal suicidio dei giovani, dalla crisi della famiglia, dalle armi e dalla guerra. Presenti vescovi dell’Estremo oriente e del Sud- est asiatico. Il reportage del nostro corrispondente.

Nagasaki (AsiaNews) - Il vento gelido e un acquazzone torrenziale non ha turbato la letizia di 30 mila persone che nella tarda mattinata del 24 novembre si sono radunate nel grande stadio della città di Nagasaki. Tutto si è svolto come una grande sinfonia, il cui tema era  il martirio che il sacerdote Pietro Kibe e altri 187 giapponesi avevano composto con l’effusione del sangue.

L’assemblea ha accolto con il canto una processione di oltre 300 sacerdoti. Questi erano preceduti da otto donne in kimono con le urne contenenti le ceneri dei martiri; il gesuita Renzo De Luca, direttore del museo dei martiri, portava un reliquiario con i resti del confratello martire, p. Pietro Kibe

Il card. Josè Saraiva Martins, rappresentante di Benedetto XVI, rispondendo alla richiesta formale dell’arcivescovo di Tokyo, Pietro Okada, ha letto il documento di beatificazione dei 188 martiri. “Se finora risultavano segretamente scritti nel ‘libro della vita’ (Fil.4,3) - ha detto nel discorso di chiusura - “d’ora in poi vengono inclusi nell’albo dei Beati”.

Nello stesso luogo, 27 anni prima l’allora Papa Giovanni Paolo II aveva detto: “Oggi voglio essere un pellegrino in più tra i molti che vengono a Nagasaki, il luogo dove tanti cristiani suggellarono la loro fedeltà a Cristo con il sacrificio delle loro vite....In Nishizaka [la collina dove furono crocifissi i primi martiri - ndr]  ventisei martiri hanno reso testimonianza del potere della Croce..... Oggi - vengo qui per ringraziare Iddio per le vite e la morte dei martiri di Nagasaki, dei ventisei e di tutti gli altri che li seguiranno”. Martins ha commentato: “Con la beatificazione odierna, queste parole profetiche in buona parte si sono adempiute”

Una linea retta simbolica unisce i due eventi: il movimento per la beatificazione di padre Pietro Kibe e compagni è iniziato proprio quel giorno, su iniziativa di Giovanni Paolo II.

La celebrazione eucaristica seguita, è stata presieduta dal cardinal Pietro Shirayanagi, ex-arcivescovo di Tokyo. E qui l’assemblea è apparsa come l’icona della Chiesa di Dio non solo in Giappone, ma in Asia.

 Il colore dominante era il rosso, simbolo del sangue versato. Accanto a Shirayanagi c’erano altri 2 cardinali: Saraiva Martins; Ivan Dias, prefetto della Congregazione vaticana per l’evangelizzazione dei popoli. Presenti inoltre tutti i vescovi del Giappone, 5 vescovi dalla Corea, uno dal Vietnam e uno da Taiwan.

Mons. Giuseppe Takami, di Nagasaki, ha mobilitato le forze della sua arcidiocesi. Il programma liturgico, reso noto per tempo in tutte le parrocchie, è stato preparato con cura, l’accoglienza dei fratelli e sorelle provenienti da tutto il Giappone è stata perfetta. Alla proverbiale capacità organizzativa giapponese, si è aggiunto il calore della fraternità cristiana  La sera precedente, nella cattedrale di Urakami, a 500 metri dall’epicentro della bomba atomica, è stata celebrata una veglia di preghiera. 

Nel rito della messa tre momenti sono stati particolarmente simbolici: le letture bibliche, le preghiere dei fedeli e la processione offertoriale. La prima lettura è stata letta da un anziano signore cieco, usando le mani, perché tra i martiri beatificati uno era cieco; la seconda da una signora anziana, perché tra le 62 donne beatificate molte erano mamme e nonne. I cibori contenenti le pissidi per la comunione sono stati portati all’altare da 200 bambini e bambine, quasi per sottolineare che la celebrazione si apriva sul futuro. Infine, le intenzioni delle cosiddette “preghiere universali” sono state recitate da fedeli provenienti dalle zone dove i martiri beatificati hanno testimoniato la fede in Cristo.

 Ma il significato dell’evento è stato magistralmente messo in luce soprattutto nell’omelia pronunciata dal cardinal Shirayanagi. Egli, pur avendo lasciato l’incarico della chiesa di Tokyo nel 2002,  è stato il principale promotore e ispiratore dell’avvenimento fin dagli inizi.

Alla celebrazione non era presente alcuna autorità civile, almeno formalmente, perché l’articolo 20 della Costituzione sancisce la separazione tra religione e stato: ed è un gran bene. Non molto tempo fa una religione giapponese, lo shintoismo, è stata usata per sacralizzare il potere di uno stato dittatoriale, con le tragiche conseguenze ben note.

Shirayanagi, con espressioni chiare, si è rivolto non solo ai cattolici ma anche alla società giapponese. Pur senza fare esplicito accenno a quegli storiografi che tendono ad annacquare gli aspetti negativi della storia del Giappone, ha detto: “Un’importante caratteristica nella storia della persecuzione in Giappone sta nel fatto che essa è stata lunga, completa e crudele nella repressione....... Ha mirato al totale annientamento del cristianesimo”.

Un secondo tema sul quale ha insistito è stato quello della famiglia. Ai cristiani ha ricordato che nel secolo XVII nonostante la persecuzione e la scarsità e poi la mancanza di preti, 300 mila giapponesi hanno ricevuto il battesimo e vissuto cristianamente, grazie all’ambiente familiare. “I martiri, ha detto, ci invitano a formare simili famiglie. Le nostre famiglie hanno bisogno di avere uno spazio dove tutti i membri si possano raccogliere per riflettere sulla Parola di Dio e pregare”. Ai non cristiani ha poi ricordato che la famiglia è la cellula della società. “Se ogni famiglia è solidamente costituita , anche la società sarà solida”.

Shirayanagi ha denunciato inoltre la reticenza della società giapponese circa i suicidi: oltre 30.000 all’anno (cifre ufficiali). “I martiri, ha detto, esortano a riflettere seriamente sulle questioni fondamentali che riguardano la vita: che cos’è la vita, che cos’è la morte, qual è lo scopo della vita, qual è il significato della sofferenza”. Non meno chiaro è stato l’appello circa la difesa della libertà religiosa e la salvaguardia dei diritti umani. “ I martiri - ha detto - ci invitano a combattere contro tutto ciò che va contro la verità fondamentale  della dignità della vita umana; il diritto della vita dal seno materno alla tomba va rispettato; la produzione e la vendita delle armi, e le guerre che le usano, devono essere evitate ad ogni costo; il fossato tra ricchi e poveri e la miseria disumanizzante devono esse eliminati”.

 Il fatto che il suo messaggio sia stato rivolto a un uditorio cattolico non diminuisce ma, al contrario aumenta la forza dell’appello, perché li invita ad essere diretti evangelizzatori della società. Alla cerimonia hanno partecipato anche un vescovo anglicano, uno luterano e una delegazione buddista.

 “Cari fratelli e sorelle, ha concluso il cardinale, camminiamo senza paura… I martiri ci dicono di non aver paura. Dio ci dice di non aver paura.”

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