18/06/2020, 12.21
RUSSIA
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La lotta dell’igumeno Sergij con il ‘potere forte’ del patriarca Kirill

di Vladimir Rozanskij

Sospeso dal suo vescovo, egli attacca il Patriarca e la gerarchia per aver chiuso le chiese durante la pandemia. Per il monaco la Chiesa è ormai “guidata dai medici del Servizio Sanitario nazionale”. Folle di fedeli in sua difesa, anche con la divisa da cosacco, al monastero di Verkhoturja. Toni apocalittici.

Mosca (AsiaNews) - Lo scontro tra lo skhiigumen Sergij (Romanov), capo dei monarchisti russi “Covid-negazionisti” e le autorità ecclesiastiche sta raggiungendo livelli preoccupanti. Alcune settimane fa egli è stato sospeso dal vescovo della diocesi sugli Urali, il metropolita di Ekaterinburg e Verkhoturja Kirill (Nakonechnyj), a causa delle sue “maledizioni” contro la quarantena. Due giorni fa l’igumeno (foto 1) ha presenziato alla seduta del tribunale ecclesiastico, a cui si era rivolto per annullare la sospensione, ma non ha voluto attendere l’esito della seduta, limitandosi a fare il suo intervento per poi tornare subito al monastero.

Intervenendo davanti al tribunale, Sergij non ha chiesto scusa per i suoi eccessi verbali, anzi ha rincarato la dose: “Il patriarca Kirill ha deciso di chiudere le chiese ortodosse per paura della morte… Il patriarca, il Sinodo, l’episcopato non hanno alcun potere sulla Chiesa, che è attualmente guidata dai medici del Servizio Sanitario nazionale, e sempre s’inchina al potere civile. Considero questi atteggiamenti dei nostri gerarchi un sacrilegio di fronte allo Spirito Santo, e un tradimento della vera fede della Chiesa Ortodossa”.  L’igumeno dal grande skhima, che ritiene la sua autorità superiore anche al patriarca. Ha aggiunto: “Non sono io provocare lo scisma, ma l’episcopato che non ha il coraggio di difendere la fede, e ha paura di perdere la propria poltrona”.

Il tribunale ha rilasciato il 16 giugno una dichiarazione secondo la quale, siccome Sergij si è rifiutato di rispondere alle domande e si è limitato a leggere la sua dichiarazione, sarà convocata una nuova seduta il 26 giugno, “con la speranza che lo skhiigumen Sergij trovi in sé le energie spirituali per un colloquio vivo e sincero, e poter discutere con serenità il suo comportamento, ripensare a quanto commesso e correggersi”.

Ma l’igumeno Sergij pare non avere alcuna intenzione di ravvedersi, e lo aspetta anche un’inchiesta giudiziaria della polizia per “comportamento estremista”. Intanto egli ha diffuso un nuovo video, in cui riferisce di “confidare nell’avvento di uno zar veramente ortodosso, che giudicherà ogni cosa con l’autentica giustizia”. Nella posizione di Sergij si rilevano le stesse note di un vescovo russo di alcuni anni fa, Diomid (Dzjuban) di Chukotsk, il cui conflitto con l’allora patriarca Aleksij II nel 2008 lo portò a uscire dalla Chiesa ortodossa Russa. Diomid è stato poi emarginato anche dagli ortodossi conservatori; Sergij invece confida nel sostegno di tanti suoi figli spirituali.

In effetti, molti adepti dello starets si sono recati al suo monastero a Verkhoturja a 10 km da Ekaterinburg, per esprimergli solidarietà (foto 2 e 3). Un gruppo consistente di essi ha anche organizzato un servizio d’ordine attorno all’intero perimetro del monastero, esibendo le uniformi storiche dei cosacchi, i “difensori della fede” di medievale memoria. I volontari fanno entrare in monastero soltanto i pellegrini, cacciando in malo modo i giornalisti, e anche alcuni sacerdoti: non è stato ammesso il padre Georgij Viktorov, che il metropolita locale Kirill aveva inviato al monastero per assicurare le celebrazioni, visto il divieto imposto a Sergij. L’igumeno finora si è astenuto dalle celebrazioni davanti a estranei nelle quattro chiese del monastero, ma evidentemente si prepara a rinnovarle, forte della custodia dei suoi cosacchi, pronti anche a resistere ad azioni di polizia. Alcuni giovani adepti sono in attesa del Battesimo, nella famosa cerimonia in cui Sergij riversa sui neofiti dei secchi da tre litri di acqua ghiacciata, per scacciare i demoni.

La situazione sembra essere fuori controllo: l’igumeno Sergij usa il monastero come sua proprietà (viene chiamato anche “il Vaticano di Sergij”), e ha addirittura allontanato la badessa, l’igumenja Varvara (Krygina) insieme ad alcune monache, che avrebbero consigliato allo starets una maggiore moderazione. La colpa di madre Varvara consisterebbe soprattutto nell’aver preso la parola in un incontro del clero, peraltro difendendo l’igumeno. Le altre monache sono rimaste attorno al loro padre spirituale. Sergij, peraltro, controlla anche altri tre monasteri di una certa rilevanza, su terreni di oltre 100 ettari circa, nella provincia di Ekaterinburg, tutti vicini al luogo dell’assassinio dello zar Nicola II. A queste strutture fanno riferimento numerose proprietà civili, case e fattorie, perfino alcune aziende: nella zona nord-orientale della provincia un intero villaggio dipenderebbe praticamente dall’igumeno.

Come spesso accade tra i mistici russi, il conflitto tra la gerarchia ecclesiastica e lo skhiigumen sta assumendo dimensioni apocalittiche, di fronte “all’avvento dell’Anticristo”. In ogni caso, l’esito di questa lotta segnerà il futuro della Chiesa ortodossa russa.

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