12/04/2005, 00.00
CINA
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La repressione di Pechino contro gli Uighuri

In un documento, presentato oggi da Human Rights Watch, sono provate le attività repressive del governo di Pechino contro la libertà religiosa dell'etnia Uighur.

New York (AsiaNews/Hrw) – Metodi da guerriglia per reprimere espressioni religiose e istanze democratiche degli Uighuri, un'etnia musulmana dello Xinjiang: è la denuncia di Human Rights Watch contenuta in un dossier presentato oggi dall'organizzazione per i diritti umani.

Il dossier si basa su documenti ufficiali del Partito comunista cinese e su denunce ed atti stilati dalla pubblica sicurezza della regione, che fino ad ora erano rimasti segreti. I documenti provano l'esistenza di un complesso sistema di leggi, regolamenti e direttive interne volte a distruggere la libertà religiosa e, per estensione, la libertà di espressione, associazione, assemblea ed informazione.

I dati raccolti mostrano che le autorità statali impediscono a tutti gli imam una predicazione regolare  e li costringono a  tenere delle "sessioni di auto-critica". La polizia sorveglia le moschee, allontana dalle scuole gli insegnanti che professano una fede religiosa, censura poeti e scrittori che trattano temi legati alla religione anche in modo vago.

Agli Uighuri non è permesso esternare le pratiche religiose, studiare o portare sotto braccio libri di religioni, indossare simboli religiosi. Il governo cinese dà agli imam ed ai chierici precise disposizioni su dove i fedeli si possono incontrare e di cosa possono o non possono parlare. Assolutamente impensabile manifestare i propri sentimenti religiosi in luoghi pubblici o statali come uffici o scuole. Un documento, a firma di un funzionario di Pechino, impone "ai genitori o ai tutori legali di impedire ai minori posti sotto la loro custodia l'esercizio di qualsiasi pratica religiosa".

Hrw denuncia anche il modo sommario con cui lo stato bola come "separatismo" e come crimine contro la sicurezza del paese ogni critica alla repressione ed ogni tentativo di esprimere la libertà religiosa. Coloro che cercano di praticare la religione al di fuori dei limiti dettati dal governo sono arrestati, torturati e a volte condannati a morte. Le punizioni peggiori sono riservate per coloro che sono accusati di "attività separatiste", che le autorità definiscono "terrorismo". Metà di coloro che si trovano nei lager dello Xinjiang sono stati arrestati ed internati senza processo.

Brad Adams, direttore Hrw per l'Asia, dice: "La campagna mondiale contro il terrorismo ha dato a Pechino la scusa perfetta per reprimere nel sangue qualunque forma di espressione libera nello Xinjiang. Altre etnie cinesi sono riuscite a strappare al governo centrale una qualche forma di autonomia, ma gli Uighuri, come i Tibetani, hanno capito che la loro religione viene usata come strumento di controllo". Wang Lequan, segretario del Partito comunista dello Xinjiang, dice apertamente che "la sfida maggiore per l'autorità è quella di gestire la religione, e fare in modo che questa etnia la usi per riunirsi alla madre patria e costruire l'unità nazionale".

Gli Uighuri sono una minoranza etnica di lingua turca che conta circa 8 milioni di persone, in prevalenza stanziate nello Xinjiang. Questa etnia ha iniziato una battaglia per poter mantenere tradizioni, costumi e religione d'origine da quando, negli ultimi 10 anni, Pechino ha inviato nella zona circa 1,2 milioni di cinesi del centro del Paese, che hanno iniziato a stravolgere le abitudini e le libertà di cui godevano. La maggioranza degli Uighuri desidera solo una maggiore autonomia nella gestione degli affari interni, ma negli ultimi anni è cresciuta anche una piccola sezione più indipendentista, che vorrebbe l'autonomia completa da Pechino.

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