27/06/2014, 00.00
ASIA
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La tortura in Asia è una “piaga in espansione”

Phil Robertson, vice-direttore Asia di Hrw, conferma l’uso regolare e sistematico dei metodi violenti, spesso con l’avallo dello Stato. I funzionari che si macchiano del crimine godono dell’immunità o vengono difesi dal sistema stesso. Egli invita a raddoppiare gli sforzi per combatterla. L’appello di Papa Francesco domenica all’Angelus.

Bangkok (AsiaNews) - In molte nazioni dell'Asia, la tortura è una "piaga in espansione" usata in modo regolare e sistematico; punire i responsabili degli abusi e consegnarli alla giustizia, inoltre, è sempre più difficile in particolare dove essa è "una pratica perpetrata dallo Stato". È quanto denuncia Phil Robertson, vice-direttore per il continente di Human Rights Watch (Hrw), il quale elenca le tre forme di abusi che rientrano nella categoria delle torture: infliggere dolore mediante uso della forza fisica, piegare la volontà del singolo individuo e cercare di annichilire la personalità di ciascuno. Secondo il diritto internazionale la tortura è un "crimine" e il 26 giugno si è celebrata in tutto il mondo la 15ma Giornata delle Nazioni Unite per le vittime della tortura; tuttavia, a dispetto delle campagne di sensibilizzazione e dell'appello lanciato da Papa Francesco nei giorni scorsi, che ha espresso una "ferma condanna", essa continua a manifestarsi in molte aree della terra. 

Per l'attivista di Hrw, alcuni governi usano in modo "sistematico" la tortura quale mezzo per reprimere "anche la forma più lieve di dissenso". In particolare l'Asia ricorre di frequente nelle denunce presentate dall'organizzazioni pro diritti umani, che mette all'indice alcune nazioni - più o meno autoritarie - in cui la pratica è assai diffusa: Corea del Nord e Cina su tutte, ma non mancano richiami a India, Indonesia, Malaysia, Myanmar, Filippine e Giappone. E spesso i funzionari che si macchiano di questo crimine ignobile possono godere del diritti all'immunità. 

Le forze di polizia, denuncia il vice-direttore Asia di Hrw, nel sud e nel sud-est del continente, ma anche nell'Asia dell'est, utilizzano la tortura come pratica standard per estorcere confessioni. Egli cita l'esempio della Malaysia, dove emerge un uso "sistematico" che alle volte si conclude "con il decesso in carcere" della vittima. Episodi di violenze si registrano anche nei centri di recupero per tossicodipendenti, soprattuto in Laos, Cina, Cambogia e Vietnam dove al posto delle cure vengono inflitte ulteriori sofferenze. 

Fra le modalità più diffuse per infliggere le torture, racconta Phil Robertson, vi sono le percosse a piedi e mani, elettroshock, sottomissioni con lacci e corde, bruciature con sigarette o altri mezzi, violenze sessuali (su uomini e donne), bastonate e frustate. 

Egli aggiunge che punire i responsabili è sempre più difficile, perché gli abusi avvengono all'interno di carceri dal sistema e dalla struttura opaca, di difficile accesso dall'esterno. Finora solo un piccolo numero di persone sono state incriminate e processate per le violenze commesse, anche perché - spiega l'attivista - indagare uno significa "svelare i metodi, fra cui la tortura, usati regolarmente per le indagini". "La tortura è una piaga in espansione in Asia - conclude Robertson - per questo è necessario raddoppiare gli sforzi per combatterla e perseguire in tribunale quanti la usano". 

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