04/12/2018, 08.26
UCRAINA
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L’autocefalia ucraina in stile bizantino

di Vladimir Rozanskij

Le mille difficoltà create dal contrasto tra Mosca e Costantinopoli sul futuro dell’ortodossia in Ucraina. Quale che sarà la soluzione, l’immagine e la composizione dell’Ortodossia ne risulteranno profondamente modificata.

Il Sinodo del patriarcato di Costantinopoli dello scorso 27-29 novembre è stato l’ultimo dell’anno, e le sue decisioni hanno lasciato molte domande irrisolte sulle questioni scottanti degli ultimi mesi, dall’autocefalia ucraina alla cura pastorale dei russi in Europa. Lo stile con cui vengono gestite queste delicatissime problematiche è decisamente “bizantino”, facendo un passo avanti e due indietro, lasciando molta confusione nei fedeli di tutte le parti in causa.

A Istanbul si è recato, proprio nei giorni del Sinodo, il consigliere del presidente ucraino, Rostislav Panchenko, al quale è stata affidata la procedura per la realizzazione dell’autocefalia della Chiesa ucraina. Egli ha cercato di mostrare ottimismo, affermando che “tutto procede secondo i piani”, entro dicembre si terrà il sinodo d’istituzione della nuova Chiesa ucraina, in cui verrà scelto il nuovo primate, che subito si recherà a Istanbul a ricevere il Tomos di autocefalia. Secondo questo scenario, si esclude quindi che il patriarca Bartolomeo possa recarsi personalmente a Kiev a consegnare il Tomos.

In realtà, dai laconici comunicati del sinodo costantinopolitano si evince soltanto la disponibilità a concedere il tanto atteso certificato di autonomia, senza nominare direttamente il Tomos ufficiale, e che il sinodo avrebbe stilato una “magna carta” o statuto della Chiesa ucraina. Si tratterebbe di una parte integrante dello stesso Tomos, che andrebbe sottoposta all’approvazione del sinodo “unificatore”; sembra quindi che Costantinopoli sia alla ricerca di un nuovo “modello ecclesiale”, in cui l’autonomia della nuova Chiesa sarebbe fortemente limitata dalla dipendenza dallo stesso patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Il portavoce del patriarcato di Mosca, Vladimir Legojda, ha definito questa procedura un “fenomeno contro natura”, al solo scopo di ritardare l’intero processo in mancanza di un’idea chiara sulla sua definizione.

Nel mondo ortodosso esistono due tipi storici di autocefalia, quella “antica” dei sette concili di epoca patristica, e quella “nazionale” inaugurata proprio dal patriarcato di Mosca nel 1589, e poi estesa alle altre nazioni di tradizione ortodossa, sorte dal crollo degli imperi ottomano, asburgico e dallo stesso impero russo. I primi patriarcati sono di origine apostolica (la “pentarchia” di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) e non dipendono da nessuno, mentre i patriarcati nazionali ortodossi sono stati tutti istituiti o almeno approvati da Costantinopoli, anche se non senza varie resistenze teoriche e pratiche. Ad alcune Chiese non viene neppure attribuito il titolo di patriarca, ma si limitano al livello del metropolita o del semplice arcivescovo, come la stessa Chiesa greca con sede ad Atene.

Dopo un confronto plurisecolare tra Costantinopoli e Mosca, i due principali centri dell’Ortodossia mondiale, la nuova autocefalia ucraina dovrebbe sancire la prevalenza dell’uno sull’altro, in base alle decisioni canoniche e al consenso popolare, ancora tutto da verificare. Costantinopoli vuole ribadire il primato storico e “teologico”, mentre Mosca rivendica il proprio ruolo secondo la dimensione numerica (controlla oltre la metà degli ortodossi al mondo) e la missione storica, avendo difeso la purezza della fede nonostante le oppressioni medievali dei mongoli e dei turchi, e quelle moderne del regime sovietico e del secolarismo occidentale.

Il quadro che dovrebbe scaturire dalla procedura canonica dell’autocefalia ucraina, in ogni caso, sarebbe ancora piuttosto diversificato: anche se una parte, più o meno consistente, degli ortodossi fedeli a Mosca passasse sotto la nuova Chiesa ucraina, rimarrebbe comunque una quota notevole di parrocchie e diocesi russofile, che invece di chiamarsi “Chiesa ucraina del patriarcato di Mosca” si chiamerebbero “Chiesa russa in Ucraina”, con relative limitazioni governative applicate alle Chiese “straniere”. Verrebbe quindi istituita la Chiesa ucraina autocefala, e accanto ad essa sussisterebbero le istituzioni “stavropegiali” o autonome dello stesso patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Senza contare le numerose strutture della Chiesa greco-cattolica ucraina, che pratica lo stesso rito degli ortodossi, situata prevalentemente nella parte occidentale del Paese, che è attualmente soltanto uno spettatore interessato di tutta la vicenda.

Al di là dei tempi e dei modi con cui verrà risolto il puzzle ecclesiastico ucraino, e quale sarà la personalità chiamata a realizzarlo come capo della nuova Chiesa, l’immagine e la composizione dell’Ortodossia ne risulterà profondamente modificata, dando inizio a una nuova epoca non solo per i cristiani d’Oriente, ma per tutta la storia della Chiesa universale.

(nella foto: Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli (a sinistra) e il Patriarca di Mosca (a destra)

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