06/02/2018, 14.51
TURCHIA-VATICANO
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Le acrobazie di Erdogan e l’arte del baratto

di NAT da Polis

Le mire politiche del presidente turco visitando il Vaticano. L’alleanza con Putin, l’acquisto di armi dai russi, mentre rimane nella Nato. Il Sultano pensa di sfruttare a pieno la posizione geopolitica della Turchia nei flussi di migranti verso l’Europa; come base per un possibile attacco all’Iran. Ma tutto in funzione della sua ambizione personale.

Istanbul (AsiaNews) - Con la visita al papa Francesco in Vaticano ieri, Recep Tayyip Erdogan ha voluto presentarsi al frantumato mondo musulmano come l’unico referente sulla questione di Gerusalemme.

Con questo gesto egli si allinea col suo nuovo alleato Vladimir Putin, che si presenta come protettore dei cristiani in Medio oriente.

Tutti e due hanno in comune la volontà di dire la loro sulle questioni geopolitiche mediorientali, speculando sull’ovvia strumentalizzazione del fattore religioso per usi politici ed ideologici, ma in versione moderna.

Per la Russia rimane sempre di attualità il suo coinvolgimento in Medio Oriente, in quanto sbocco strategico delle sue ambizioni imperiali e geopolitiche; per la Turchia di Erdogan è il ritorno alla sua visione neo-ottomana, ossia alla Turchia come nuova potenza regionale, speculando sulla sua importante posizione geopolitica.

La Turchia ha speculato sulla sua posizione anche nel periodo del bipolarismo Usa-Unione Sovietica. A tale proposito va ricordato che durante la Seconda guerra mondiale, benché avesse garantito agli alleati il proprio coinvolgimento nella guerra contro la Germania, ha dichiarato guerra contro quest’ ultima soltanto il giorno prima dell’armistizio tedesco.

Ciò è nella sua indole di origine orientale, che si esprime magnificamente nella parola turca alisveris, barattare.

 

Oggi, in un mondo sempre più globalizzato e multipolare dal punto di vista economico e politico, la nuova Turchia di Erdogan pretende ed esige di dire la sua sulle questioni regionali speculando su scontri e debolezze dei cosiddetti grandi: Usa, Russia e Cina.

L’Europa, per lui, è relativamente considerata, perché facilmente ricattabile col fattore migratorio di cui la Turchia è la valvola dei flussi. Allo stesso tempo, Ankara offre ad essa un mercato grande e giovane, terra di proficui investimenti, dovuti all’applicazione da parte degli islamici di politiche neoliberiste, caratterizzate da capacità imprenditoriale turca, da capacità lavorative e dall’assenza di vincoli sul lavoro.

Va sottolineato che negli scontri militari che avvengono da quelle parti, la Germania fornisce ai turchi i famosi cari armati Leopard. Lo stesso fa la Francia e l’Italia con vario materiale bellico.

Erdogan, vero animale politico, proviene dalla Turchia disprezzata dal sistema kemalista. Come dice un rapporto Usa del 2004, egli è caratterizzato da superbia dispotica ed ambizione sfrenata che gli deriva dalla fede che Dio lo ha predestinato al comando della Turchia. Per questo egli ha instaurato in questo contesto un potere politico autoritario, da nuovo Sultano.

Un progetto a lunga scadenza

Tale potere è stato instaurato usando come trampolino il partito dell’Akp, iniziando con lo scardinare il sistema kemalista, procedendo con delle riforme, inimmaginabili prima di allora. Una volta stabilitosi al potere, attorno al 2009, ha iniziato una campagna prima contro i suoi compagni di cordata e - dopo il fallito golpe del luglio 2016 - contro la società civile.

Il suo potere assoluto gode dell’appoggio del 51% della popolazione, soprattutto quella di estrazione anatolica e di fede islamica.

Chiunque parli con questa popolazione si sente dire di essere riqualificata ed orgogliosa di essere turca, in barba ai dissidenti che vanno a riempire le carceri.

Va pure sottolineato che la percentuale del 51% tende ad aumentare, andando a pescare nei partiti di opposizione non curda, quando Erdogan sventaglia la questione curda come il pericolo n.1 della Turchia, esaltando così il sentimento nazionalista turco ben inculcato e radicato dal sistema kemalista sin dal 1923.

Si capisce cosi il perché delle parole pesanti contro il presidente Trump, reo di sostenere il movimento curdo siriano YPK, vicino al Pkk turco. Ciò ha portato all’invasione delle forze militari turche nella località di Afrin in Siria, con il nulla osta dei Russi, e minaccia di procedere contro la città Manbij, dove stanziano forze curde e americane.

È la prima volta che il presidente di uno Stato membro della Nato inveisce con parole pesanti contro un presidente Usa, ricorrendo anche all’acquisto di armamenti dal nemico russo (missili 400S).

Fonti diplomatiche ad Ankara raccontano che ambienti vicino al presidente turco ricordano agli americani che essi hanno permesso il passaggio dei mercenari Isis dalla Turchia alla Siria proprio su loro incitamento.

Per la verità, anche nel 2003 la Turchia ha rifiutato l’uso delle basi a Bush, ma non si è andati oltre.

A livello diplomatico c’è chi preconizza, che se gli Usa vorranno attaccare l’Iran, lo potranno fare solo con le capacità operative di Ankara ed in barba alle attuali alleanze.

Nell’instabile contesto medio-orientale di equilibri geopolitici, Erdogan si esercita a conservare il suo potere, usando la politica del baratto, la fine arte della tradizione ottomana, caratterizzata anche dalla capacità tutta turca di cambiare e rovesciare le proprie alleanze.

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