21/09/2010, 00.00
BAHRAIN
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Le autorità sunnite di Manama revocano la nazionalità a un ayatollah sciita

La decisione appare legata a una serie di misure contro gli sciiti, che sono la maggioranza dei cittadini. Misure contro un altro esponente religioso e arresti tra coloro che hanno partecipato a manifestazioni di protesta contro le discriminazioni. All’origine delle mosse del governo la preoccupazione per il crescente peso degli sciiti nella regione.
Manama (AsiaNews/Agenzie) - Il governo del Bahrein ha ritirato il passaporto a uno dei più autorevoli esponenti sciiti, l’ayatollah Hussein al-Najati (a sinistra nella foto), che è anche il rappresentante nel piccolo regno del grande ayatollah Ali al-Sistani, massima autorità religiosa sciita in Iraq. La decisione di togliere la nazionalità ad al-Najati e alla sua famiglia, motivata con ragioni burocratiche, cade all’interno di una serie di misure che le autorità (sunnite) stanno prendendo contro la maggioritaria comunità sciita, mentre si avvicinano le elezioni parlamentari, previste per il 23 ottobre.
 
Domenica, poche ore prima dell’annuncio della decisione contro al-Najati, era stata resa nota un’altra sanzione contro un esponente religioso sciita, lo sheik Abdul Jaleel Al-Miqdad, al quale è stato proibito di guidare, per due settimane, la preghiera del venerdì. Le misure appaiono come una reazione alle manifestazioni di piazza e alle proteste di Al-Miqdad per gli arresti che da agosto hanno portato in prigione più di 250 sciiti, mentre 23 attivisti sono accusati di aver complottato per far cadere il governo e destabilizzare il Paese. Ancora domenica ci sono stati altri quattro arresti legati alle proteste di piazza. Quanto ad al-Najati, il cui ruolo nelle manifestazioni non è stato chiarito, ha recentemente firmato un appello dei maggiori esponenti religiosi sciiti per la fine delle proteste di piazza, il rilascio dei detenuti e l’apertura di un dialogo tra il governo e l’opposizione.
 
Gli sciiti, che rappresentano il 70% dei 530mila cittadini del piccolo Stato, lamentano da tempo di essere oggetto di discriminazioni da parte della monarchia sunnita e del suo governo. Essi sostengono che i distretti elettorali per il parlamento sono stati disegnati in modo da assicurare una maggioranza ai sunniti, che sunniti di altri Stati sono stati naturalizzati e reclutati nell’esercito e nella polizia (circa 60mila uomini); che nell’impiego pubblico si trovano soprattutto sunniti, specie nei settori della difesa e dell’interno e soprattutto nei ruoli di alto livello, che i sunniti sono favoriti nell’assegnazioni delle case e in genere negli interventi del governo.
 
Le autorità del Bahrain si sentono sotto attacco: la settimana scorsa, re Hamad bin Isa Al Khalifa ha chiesto al governo di “combattere il terrorismo”. La preoccupazione di fondo è legata al crescente peso che gli sciiti stanno acquistando in Iraq e in genere all’aumentata influenza iraniana. L’anno scorso i rapporti tra Manama e Teheran conobbero momenti di forte tensione, in seguito ad una dichiarazione di Ali Akbar Nateq Noori, un collaboratore della Suprema guida Ali Khamenei, secondo il quale il Bahrain è la 14ma provincia iraniana. Analoghe affermazioni erano state fatte pochi giorni prima da un deputato, Daryush Qanbari.
 
Il comportamento del governo del piccolo regno viene seguito con attenzione sia dalle autorità sunnite degli altri Paesi della zona, sia dagli sciiti, ma finora non c’è stato alcun commento da parte di Teheran o di al-Sistani.
 
Più che dai contrasti religiosi, quindi, le mosse del Bahrain appaiono fondate su motivi politici. Il regno gode di una discreta libertà religiosa - i cristiani, soprattutto lavoratori stranieri, sono il 10% della popolazione - ha rapporti diplomatici con il Vaticano, è il primo stato del Golfo ad aver permesso la costruzione di un luogo di culto cattolico e l’anno scorso re Hamad ha donato un terreno per la costruzione di una seconda, rispondendo a una richiesta avanzata da Benedetto XVI.
 
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