30/06/2009, 00.00
IRAN
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Le piazza iraniana appare domata, la contestazione al regime no

Un coro di voci di regime accusa i manifestanti di essere mossi dall’Occidente e da Israele, definisce “sospetta” la morte di Neda, sostiene che falsi agenti e basji hanno infiltrato i cortei. I dissidenti danno notizie di incontri segreti e dichiarazioni di ayatollah preoccupati.
Beirut (AsiaNews) – Le proteste di piazza sembrano ormai spente, in Iran, ma continuano ad esserci segnali che la contestazione è tutt’altro che domata. Il regime appare incerto: a gesti scontati, come la conferma della vittoria di Ahmadinejad e le proteste contro le “ingerenze” del G8, si accompagnano comportamenti che dimostrano preoccupazione per la profondità del malcontento, come l’affermazione che c’erano falsi basji, che hanno svolto il ruolo di provocatori, l’annuncio di un’inchiesta per accertare le “vere” cause della “sospetta” morte di Neda, la ragazza divenuta l’icona dei rivoltosi, e il martellante impegno dei media statali ad accreditare l’azione di occidentali e israeliani nel provocare le manifestazioni contro i risultati del voto “popolare”.
 
In proposito, ieri, il Consiglio dei guardiani (nella foto) ha fatto sapere di avere effettuato il riconteggio del 10 per cento delle schede elettorali e ha dichiarato che non sono state riscontrate irregolarità di rilievo, confermando quindi la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad. Alle operazioni di riconteggio non hanno partecipato i rappresentanti di Mir Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi, che avevano denunciato brogli e chiesto l’annullamento del voto.
 
Praticamente in contemporanea, è arrivata la dichiarazione del presidente Ahmadinajad che ha definito “sospetta” la morte di Neda Agha-Soltan, l’immagine della quale, riversa nel suo sangue, sul selciato, ha fatto il giro del mondo. Egli ha chiesto alle autorità giudiziarie di identificare i responsabili della sua uccisione. E appare quasi una risposta alla richiesta di Ahmadinjad l’affermazione, diffusa sempre lo stesso giorno da Press Tv, di Hossein Taeb, comandante dei basji, i volontari armati in prima fila nella repressione. Egli ha accusato “impostori” di aver usato divise della polizia e degli stessi basji per infiltrarsi nei cortei e provocare incidenti. Taeb ha anche sostenuto che negli scontri otto volontari sono rimasti uccisi e 300 feriti.
 
Qualche ora prima, il ministro per l’intelligence, Gholam-Hossein Mohseni Ejei, aveva dichiarato, nel corso di un’intervista al canale 2 di IRIB, che americani e israeliani sono all’origine della diffusione delle notizie sui brogli. Quest’ultima è un’accusa molto sottile, perché affonda le sue radici nella diffidenza iraniana verso l’occidente e in quella ancora maggiore nei confronti di Israele e getta quindi discredito sui manifestanti.
 
E’, come si vede, un coro, che è difficile pensare non orchestrato e che appare una testimonianza di quanto il regime sia preoccupato e tenti di provocare divisione e sfiducia tra i suoi oppositori.
 
Il regime, intanto, incassa l’appoggio dell’Organizzazione della conferenza islamica (OIC), che nella sua riunione di Algeri, terminata ieri, scrive l’ufficiosa ISNA, “ha condannato l’interferenza di Paesi stranieri negli affari interni iraniani” e “si è congratulata per le elezioni”.
 
Sull’altro fronte, accanto a Mousavi che invita a resistere, ma pacificamente, Rooz, giornale on line di dissidenti, dà notizia di un incontro segreto tra gli ayatollah Safi Golpaygani e Shabiri Zanjani per discutere della crisi, mentre un altro ayatollah, Mousavi Ardibili, ha detto che “le proteste del popolo non possono essere zittite con l’uso della forza”. Ardibili, che era giudice supremo negli anni successivi alla rivoluzione khomeinista, ha aggiunto che “il Consiglio dei guardiani deve dare ai manifestanti risposte tali che non diano adito a sospetti”.
 
Sullo stesso giornale compare un editoriale dal significativo titolo: “Non abbiate paura, siamo in molti”. “Noi – vi si legge – siamo i vincitori” e “dobbiamo organizzarci. Stiamo andando a un duro scontro”. (PD)
 
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