29/10/2004, 00.00
DOSSIER EUROPA – IRAQ
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Leader curdo: "Per rinascere abbiamo bisogno dell'Europa"

L'Europa è più vicina al Medio Oriente degli Stati Uniti, ma finora non ha dato un vero contributo alla stabilizzazione della regione.

Bruxelles (AsiaNews) – Per storia l'Europa è più vicina al Medio oriente, ma la sua politica manca di unità e incisività. L'Europa capisce l'Iraq più dell'America, ma "salvo singoli Paesi, non ha preso alcuna iniziativa significativa per risolvere la crisi irachena". Sono alcune delle contraddizioni manifestate ad AsiaNews da Burhan Jaf, rappresentante del governo regionale del Kurdistan presso l'Unione Europea. Il rappresentante curdo loda la firma della Costituzione, ma attende di vedere "come si muoverà la nuova Commissione in politica estera". Per Burhan Jaf è importante che l'Europa abbia "una politica estera unitaria" e aiuti l'Iraq a rinascere, senza farsi bloccare dai terroristi.

Ecco l'intervista rilasciata ad AsiaNews da Burhan Jaf

Quale ruolo può giocare la presenza europea non solo in Iraq, ma in tutto il Medio oriente?

E' essenziale! Non bisogna lasciare tutto il lavoro sulle spalle degli americani; credo ci debba essere un maggiore interesse e coinvolgimento sia a livello politico che a livello economico. Indubbiamente gli europei possono fare molto nel processo di pacificazione; un passo fondamentale saranno le elezioni di gennaio e gli europei dovranno contribuire per creare un Iraq libero e democratico. Europa e America insieme potranno farlo.

Che valore ha l'Europa per il suo Paese?

L'Europa, salvo pochi Paesi a titolo personale, non ha preso alcuna iniziativa significativa per risolvere la crisi irachena, ma sono sicuro che le nazioni europee possono fare molto per stabilizzare il Paese, per la loro cultura, per la sensibilità e per le idee politiche. In Iraq abbiamo un governo ad interim ma non si vede un supporto, un aiuto deciso da parte del governo europeo.

Qual è il problema secondo lei?

Le divisioni interne: manca un unico referente e una presa di posizione chiara e univoca. L'Europa non ha ancora fatto una conferenza sull'Iraq; ce ne sono state in America, a Londra, ma non si è ancora vista una vera conferenza all'interno dell'Europa e nel Parlamento europeo. Prima dell'invasione e della cacciata di Saddam l'Europa aveva sostenuto il popolo curdo, avevano sostenuto l'opposizione interna irakena; dopo il crollo del regime non si è vista alcuna iniziativa, nessun dibattito. Anche alla conferenza del Cairo per la ricostruzione dell'Iraq non sappiamo a che livello parteciperà e il ruolo che giocherà l'Europa. Se non saprà trovare una linea unitaria non vedo quale peso potrà avere.

La situazione potrà cambiare nel breve periodo?

La politica è sempre in movimento: abbiamo bisogno di maggiori iniziative, coinvolgimento, presenza.

Ritiene importante la presenza straniera per l'Iraq di oggi?

Tutti gli aiuti sono essenziali in questo momento. Solo i terroristi non vogliono la presenza di forze straniere in Iraq. L'Europa è fondamentale per la rinascita dell'Iraq e delle istituzioni civili. Per la sua storia, l'Europa è più vicina e riesce a capire meglio il mondo mediorientale di quanto non possano fare gli Stati Uniti. La tradizione e la cultura occidentali si fondano su diritti civili e umani essenziali e saranno fondamentali per la costruzione di una cultura democratica in Medio oriente. L'Iraq è un test per tutta l'area.

E' importante garantire al popolo irakeno la possibilità di votare a gennaio?

Le elezioni sono un fatto rivoluzionario: esse ci daranno l'opportunità di scegliere, cosa che non è mai successa nella storia del popolo irakeno. Si tratta del primo vero test per noi. L'Unione Europea deve essere presente con osservatori, tecnici, persone che garantiscano un regolare svolgimento delle votazioni.

Chi vuole destabilizzare Iraq?

E' molto semplice: penso al partito baathista che ha perso il potere alla caduta di Saddam e che non è disposto a rinunciarvi. Poi ci sono i vari estremisti antiamericani: questi gruppi è da tempo che ricevono finanziamenti miliardari per combattere gli Stati Uniti. Inoltre non vanno dimenticate le nazioni straniere come Siria e Iran…purtroppo ci sono forze straniere che non vogliono una pacificazione dell'Iraq perché perderebbero potere e interessi nel paese. Il problema è che si parla sempre delle bombe e delle stragi, ma non si dice che il 90% del paese continua a vivere e lo stesso avviene nella capitale: solo alcune aree sono problematiche, ma molte zone continuano a vivere. Sarebbe assurdo fermare un processo di pace e di cammino verso la democrazia per le azioni dei terroristi.(DS)

 

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