30/04/2008, 00.00
TIBET - CINA
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Leader tibetano: ergastoli e tortura, Pechino saggia la reazione del mondo

di Urgen Tenzin
Urgen Tenzin commenta la condanna di 17 tibetani (con due ergastoli) per le proteste di marzo a Lhasa. “Da decenni i tibetani sono torturati in carcere”, anche per “estorcere confessioni”. La paura che la violenza statale aumenti. Ancora scontri e 2 morti nel Qinghai tibetano.

Dharamsala (AsiaNews) – Urgen Tenzin, direttore del Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia (Tchrd), commenta in esclusiva per AsiaNews la notizia, riportata ieri dall’agenzia statale Xinhua, della condanna di 17 tibetani, arrestati per le proteste del 14 marzo a Lhasa, represse dall’esercito cinese. Intanto ieri Xinhua ha ammesso uno scontro a fuoco nella contea di Dori, nella zona tibetana del Qinghai, il 28 aprile, tra polizia andata ad arrestare un leader pro-Tibet e popolazione. Sono morti un poliziotto e un tibetano.

“Dal 17 marzo, quando le autorità cinesi hanno invitato chi nei giorni prima aveva fatto proteste pacifiche a costituirsi – osserva Urgen – la polizia ha arrestato oltre 5mila tibetani. Ci risulta che più di mille sono stati soggetti a maltrattamenti e torture e molti poi rilasciati mostrano problemi psichici e fisici. I funzionari cinesi sono indottrinati con un’ideologia che considera la tortura come uno strumento utile per eliminare gli ‘elementi contro-rivoluzionari’. Da anni la Commissione per i diritti umani presso le Nazioni Unite ha chiesto al governo cinese di consentire al Relatore speciale per la religione e a quello per la Detenzione arbitraria di visitare il Tibet e riportarne la situazione, ma la Cina non li ha invitati a entrare nel Tibet”.

“Anche se la Cina il 12 dicembre 1986 ha firmato la Convenzione Onu contro la Tortura e gli altri trattamenti e punizioni digradanti, i tibetani detenuti sono ancora soggetti a violenze. Dal 1986 al 1999 circa 60 prigionieri politici tibetani sono morti per le torture subite in carcere”.

Pechino afferma che il processo contro i tibetani è stato equo e pubblico, mentre Human Rigths Watch ha denunciato ieri che un gruppo di avvocati che si sono offerti di difenderli è stato “avvertito” dal ministero della Giustizia che questo avrebbe potuto rendere difficile il rinnovo delle loro licenze.

“A mia opinione – prosegue Urgen – la Cina ha reso pubblici arresti e condanne per saggiare la reazione della comunità internazionale, considerata l’attenzione dei media mondiali in vista delle Olimpiadi e le pressioni dei leader mondiali su Pechino per il Tibet. Indicare la notizia di questo minuscolo numero di condanne senza dare dettagli precisi, è un’astuta manovra per saggiare le reazioni mondiali, e questo è solo l’inizio. In modo graduale, saranno comunicati sempre più arresti e sentenze di condanna”, magari grazie a confessioni “estorte con la tortura”.

“I dimostranti pacifici arrestati sin dal 10 marzo e che ancora languono in carcere, sono stati accusati di ‘aver messo in pericolo la sicurezza statale’. Chi ha anche soltanto espresso  un’opinione in contrasto con quella del governo, è stato arrestato per ‘dissenso politico’ o per ‘opinioni sovversive’. Le autorità cinesi spesso dichiarano che i tibetani hanno confessato i loro crimini, e lo stesso sarà accaduto con questi 17 condannati. Il mondo sarà informato che questi tibetani hanno ‘confessato’ i loro delitti”.

“Ma sono confessioni ottenute sotto tortura. E’ noto che i cinesi utilizzano la tortura come strumento di ‘controllo’ sui tibetani, colpevoli di ‘dissenso politico’ o di ‘opinioni sovversive’. Già da molti anni, i tibetani sono stati arrestati per avere parlato con stranieri, cantato una canzone patriottica o per il possesso di una foto del Dalai Lama.”

“Oggi i monasteri sono circondati, sotto stretta vigilanza di esercito e polizia. Nel Tibet la situazione è molto tesa e siamo davvero preoccupati, mentre si avvicinano le Olimpiadi e ci sarà un forte aumento di informazioni e notizie dal Paese: questo può portare solo problemi per noi tibetani.”

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