03/06/2011, 00.00
CINA – HONG KONG
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Lee Cheuk-yan: “Ricordare Tiananmen e denunciare i nuovi massacri di Pechino”

Il grande sindacalista e deputato del Territorio denuncia: “Sulla Cina è calata un’oscurità simile a quella del 1989. Pechino ha lanciato un’ondata di persecuzione senza precedenti. Hanno paura della democrazia e del messaggio della Chiesa: ecco perché è fondamentale rimanere vigili e chiedere sempre e soltanto la verità”.

Hong Kong (AsiaNews) – La veglia del 4 giugno in memoria delle vittime di piazza Tiananmen “ha tre significati principali: mantenere viva la memoria di quanto è successo a Pechino nel 1989; denunciare la repressione continua e sempre più violenta del regime cinese contro i dissidenti e gli attivisti per i diritti umani; ricordare che il senso della cacciata della dinastia Qing, avvenuta giusto un secolo fa, è stato tradito dal Partito comunista”.

Lee Cheuk-yan, uno dei maggiori sindacalisti di Hong Kong e deputato del Consiglio legislativo del Territorio (il piccolo Parlamento locale), spiega ad AsiaNews il senso della grande veglia annuale per Tiananmen che si svolge al Victoria Park e denuncia: “Mai come quest’anno Pechino ha scelto di usare la violenza contro chi chiede democrazia e libertà”.

Ogni anno Hong Kong ricorda le vittime del massacro di Tiananmen, avvenuto il 4 giugno del 1989. Qual è il senso di questa manifestazione?

Domani sera, nel Territorio, avremo una grande veglia a lume di candela per le vittime del massacro. Ci sono tre significati principali per questo evento. Il primo è quello di ricordare: soprattutto i giovani, di Hong Kong e della Cina, devono sapere cosa è successo il 4 giugno, quando il regime ha lavato con il sangue la richiesta di democrazia in Cina. Il secondo è quello di manifestare contro l’enorme ondata di repressione e arresti contro coloro che difendono i diritti umani nel Paese. Quest’anno è uno dei peggiori mai visti, in questo campo: un’era di oscurità sembra essere calata su tutto il territorio nazionale. La situazione è simile a quella che seguì la repressione del 1989: tutte le voci libere e democratiche sono state messe a tacere con la violenza. Basti pensare a Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace, o ad Ai Weiwei: vogliamo dire a Pechino che non scordiamo e manteniamo alta l’attenzione. Il terzo significato è storico: quest’anno celebriamo infatti il centenario della rivoluzione con cui venne cacciata la dinastia Qing. Il sogno dei nostri nonni, vedere l’impero scalzato dalla democrazia, è stato tradito nella peggior maniera possibile. Quando guardiamo alla Cina, vediamo un’enorme crescita economica. Ma la democrazia e i diritti umani sono ancora carne da macello.

Crede che ci sia una connessione fra il revival dell’ideologia maoista in Cina e questa nuova ondata di repressione contro i dissidenti?

Non penso che ci sia un collegamento diretto. In realtà la situazione è peggiore: stiamo assistendo alla nascita di una nuova ideologia, quasi peggiore rispetto a quella maoista. Il Partito vuole mantenere il controllo assoluto e vuole rimanere l’unico strumento di potere in tutta la Cina: mettono a tacere la maggioranza per mantenere il controllo degli affari e dello Stato. Il ritorno dell’ideologia maoista è una caratteristica di una fazione del Partito, non riguarda tutti. In un certo senso, questi “nuovi maoisti” vogliono rifarsi la coscienza usando la “purezza” della Lunga marcia e coprire in questo modo le loro scelte. Ma tutti i dirigenti, insieme, hanno scelto di usare la violenza per rimanere dove sono. E questo è secondo me molto peggio.

Oltre alla repressione contro i dissidenti, nell’ultimo anno è aumentata in maniera esponenziale anche la violenza contro le religioni. Sembra essere tornata la persecuzione religiosa dei tempi della Rivoluzione culturale. Come si spiega questa impennata?

Come dicevo prima, il Partito ha il terrore di perdere il potere. Sanno che, se dovessero divenire normali cittadini, dovrebbero pagare per tutto il male che hanno compiuto e che continuano a compiere. In questo senso non possono tollerare che esistano entità non politiche che abbiano un seguito fra la popolazione. La Chiesa cattolica, in maniera particolare, fa paura: con la scusa del “potere esterno” del Vaticano nascondono il terrore per il messaggio dei cristiani, potenzialmente in grado di spazzarli via. È sempre e solo una lotta per i soldi e per il potere: non hanno neanche più la scusante dell’ideologia.

Le Madri di Tiananmen hanno denunciato un tentativo di corruzione da parte del governo. Secondo lei perché questa scelta, da parte di Pechino?

Ritengo che il governo cinese sia molto preoccupato per la memoria, ancora vigile e molto diffusa, di quello che è avvenuto nel 1989. Con la loro mentalità rozza, pensano di poter risolvere tutto come hanno sempre fatto: con i soldi. Ma le Madri hanno chiarito sin dall’inizio che non vogliono ricompense materiali: vogliono la verità. E questo Pechino non riesce a capirlo. Inoltre, secondo me, il Partito vuole dividere il movimento e cercare con la corruzione di tirare dalla sua parte qualche suo rappresentante. Ma non ce la farà: le Madri hanno già chiarito che questi tentativi cadranno nel vuoto. Noi, con la nostra veglia, vogliamo dimostrare anche che hanno tutto il sostegno possibile. 

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