08/09/2015, 00.00
TIBET – CINA
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Lhasa blindata per i 50 anni di domino comunista. Pm tibetano: Niente da festeggiare

Nella capitale della Provincia autonoma si sono svolte parate militari e grandi spettacoli pirotecnici per l'anniversario del governo locale, nelle mani di Pechino. Il primo ministro in esilio: "Controlli asfissianti e niente libertà, ecco la vita dei tibetani di oggi".

Lhasa (AsiaNews/Agenzie) – Bambini in casacca e bandiera rossa, corpi di ballo e danza tradizionali, spettacoli pirotecnici – ma anche un’imponente parata militare, con truppe d’assalto e carri armati – si sono visti sfilare oggi per le vie di Lhasa. La capitale della Provincia autonoma del Tibet ha “celebrato” così i 50 anni dalla stabilizzazione del governo “autonomo” sotto il ferreo controllo di Pechino.

L’evento è stato studiato per sottolineare “gli enormi successi economici” del Partito comunista nella zona e per “dimostrare l’unità” fra la popolazione tibetana autoctona e l’enorme massa di cinesi di etnia han. Questi, maggioritari nella Cina continentale, sono stati inviati dal governo centrale per colonizzare di fatto l’area.

Yu Zhengsheng, capo politico della provincia, ha tenuto un discorso improntato sulla retorica: “Negli ultimi 50 anni il Partito e il popolo tibetano hanno guidato la trasformazione del Tibet, da zona retrograda a vibrante avanguardia socialista”. Il funzionario ha parlato davanti al Palazzo Potala, un tempo residenza dei Dalai Lama e oggi un museo.

Dall’esilio dove vivono sia il capo spirituale del buddhismo che il governo tibetano legittimo, il premier Lobsang Sangay ha commentato la parata sottolineando che “non c’è nulla da festeggiare. I tibetani sono oramai controllati con la tecnologia in modo che si sappia tutto di loro, e in questo modo sono limitati negli spostamenti. Restrizioni di questo tipo sono inconcepibili per zone come l’India, ma in Tibet sono la norma”.

Il premier ha poi sollevato il tema della libertà religiosa per il suo popolo: “Un tibetano in possesso di una foto del Dalai Lama viene arrestato e sottoposto a immense torture; la sua famiglia perde posti di lavoro o sussidi statali. E tutto per una foto. Anche le famiglie di chi si è auto-immolato vivono così”.

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