23/02/2017, 10.32
IRAN - TURCHIA
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L’ennesimo voltafaccia turco alimenta la tensione fra Ankara e Teheran

Il portavoce del presidente turco cerca di smorzare i torni. A parole, la Turchia non vuole “una escalation” con l’Iran. Ma le accuse di Erdogan, secondo cui Teheran “destabilizza” la regione, hanno irritato i vertici della Repubblica islamica. Convocato l’ambasciatore, pronta una risposta sullo scacchiere siriano. Le mosse di Israele per creare un fronte arabo-turco in chiave anti-iraniana. 

 

Beirut (AsiaNews) - Il portavoce dell’ufficio di presidenza della Turchia Ibrahim Kalin ha tentato di smorzare le tensioni fra Ankara e Teheran, dichiarando che il suo Paese non vuole “una escalation” con l’Iran. Tuttavia, queste parole pronunciate ieri sono sembrate poco credibili ai vertici della Repubblica islamica, dopo quanto avvenuto di recente alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza e a quella di Astana sulla Siria.

A gettare benzina sul fuoco, vi sono poi le dichiarazioni fatte dal leader turco Recep Tayyip Erdogan nel corso della sua recente visita ufficiale in Qatar e Arabia Saudita. Nei giorni scorsi l’Iran ha convocato l’ambasciatore turco a Teheran proprio per chiarimenti sulle frasi pronunciate dal presidente turco, il quale ha accusato la Repubblica islamica di “destabilizzare” la regione. 

Non più tardi di sei mesi fa il ministro turco degli Esteri Mevlut Cavusoglu volava a Teheran in cerca di aiuto, per uscire dal disastro economico nel quale rischiava di versare il Paese in seguito alle sanzioni economiche imposte dalla vicina Russia. Un provvedimento emanato da Mosca in risposta all’abbattimento del jet russo in territorio siriano da parte delle batterie anti-aeree turche.

La visita del ministro degli Esteri turco è stata poi seguita dalla visita ufficiale del presidente Erdogan in Iran, accolto con calore. Una missione diplomatica che ha contribuito, all’epoca, a riavvicinare Ankara all’asse Siria-Russia-Iran, nella guerra in corso da sei anni nel Paese arabo che si affaccia sul Mediterraneo.

Le tensioni con l’amministrazione Obama all’indomani del fallito golpe in Turchia, il raffreddamento nei rapporti con l’Europa e i fallimenti nei Paesi arabi, oltre alla chiusura con la Russia, avevano spinto Ankara in una posizione di profondo isolamento. Un declino dal quale solo l’Iran sembrava in grado di tirarla fuori.

Nel contesto della visita di Erdogan a Teheran sono stati firmati nuovi accordi economici e commerciali, che hanno contribuito ad accrescere il volume di scambio fra Turchia e Iran. Un balzo significativo dai precedenti 10 miliardi annui a 30 miliardi, dando al contempo una boccata di ossigeno all’asfittica economia turca. 

Lo stesso ministro turco degli Esteri Cavusoglu, che solo sei mesi fa elogiava l’Iran, ha poi dichiarato durante la Conferenza sulla Sicurezza tenutasi a Monaco il 20 febbraio che “il ruolo del’Iran nella regione è destabilizzante”. Secondo il capo della diplomazia di Ankara l’Iran starebbe tentando di “diffondere la dottrina sciita in Iraq e in Siria”. Tali parole hanno spinto il ministero iraniano degli Affari esteri a convocare l’ambasciatore e comunicare che “la pazienza iraniana ha dei limiti”.

Il voltafaccia turco arriva in un momento cruciale, nel quale si accentuano le dichiarazioni di Israele che invita i Paesi arabi cosiddetti “moderati” - in particolare le monarchie sunnite del Golfo - a considerare non Israele come nemico, bensì Teheran. E a unirsi allo Stato ebraico e al mondo occidentale in una alleanza in chiave anti-iraniana.

Sul terreno le nuove posizioni della Turchia hanno causato un avanzamento dell’esercito siriano intorno alla città di Al Bab: un chiaro messaggio ad Ankara che, nel caso di un cambio di bussola, tanto Damasco quanto Teheran e Mosca sono pronte a opporsi a un avanzamento turco al di là di Al Bab, verso Membej. E, soprattutto, il netto rifiuto alla creazione di una zona cuscinetto voluta dalla Turchia come primo passo di un’ulteriore annessione territoriale futura.(PB)

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