05/09/2012, 00.00
MYANMAR
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Mandalay, proteste anti-Rohingya: i monaci sfidano i divieti e tornano in piazza

Centinaia di religiosi buddisti si uniscono ancora alla popolazione per manifestare contro la minoranza musulmana. Le autorità locali vietano nuove dimostrazioni nel timore di violenze. Ma le marce per le vie della città potrebbero durare anche “una decina di giorni”. Per i monaci la protesta è un modo per esprimere la propria “forza politica”.

Mandalay (AsiaNews) - Continuano le proteste dei monaci birmani contro i Rohingya, a dispetto dell'ordine impartito dalle autorità che intima la sospensione delle manifestazioni per ragioni legate alla sicurezza. Ieri per il terzo giorno consecutivo centinaia di religiosi buddisti si sono uniti alla gente comune, per esprimere "solidarietà" al presidente Thein Sein, che ha lanciato nei giorni scorsi una controversa proposta intesa a deportare la minoranza musulmana al di fuori del confini del Myanmar (cfr. AsiaNews 04/09/2012 Monaci buddisti col presidente Thein Sein: Cacciate i Rohingya dal Myanmar). Le dimostrazioni a Mandalay, seconda città per importanza della ex Birmania, potrebbero continuare - raccontano fonti di AsiaNews - "per una decina di giorni", anche se i funzionari governativi locali cominciano a mostrare insofferenza verso queste manifestazioni di piazza che rischiano di sfuggire al loro controllo.

Il Myanmar non riconosce i Rohingya come etnia, ma li considera immigrati clandestini provenienti dal vicino Bangladesh, Per le Nazioni Unite sono almeno 800mila gli esponenti della minoranza musulmana stanziati nella ex Birmania e rappresentano uno dei gruppi più perseguitati al mondo. Secondo quanto riferisce Radio Free Asia (Rfa), per i monaci l'adesione alla protesta è un modo "importante" per esprimere il proprio "peso" e la "forza politica" anche in virtù del fatto che non è permesso loro di votare.

Tuttavia, nelle strade di Mandalay comincia a montare la tensione in seguito all'ordine impartito dalle autorità locali che proibiscono nuove manifestazioni. Un segnale che indica - nonostante il cammino di riforme promosso dal governo centrale - ancora quanto siano "limitati" i diritti civili in Myanmar e quanto sia, di contro, ancora forte il timore delle amministrazioni e delle forze di polizia di perdere il controllo o concedere troppa libertà al popolo.

Almeno 5mila monaci buddisti birmani hanno aderito alla marcia di protesta - autorizzata da funzionari e polizia - che si è tenuta il 2 settembre per le vie di Mandalay. I religiosi hanno sfilato assieme alla popolazione, per sostenere la controversa proposta di Thein Sein all'agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) che chiede la "deportazione" di centinaia di migliaia di musulmani Rohingya dai centri di accoglienza a nazioni estere, perché "non fanno parte della nazione birmana".

Si tratta della più grande manifestazione di piazza dalla Rivoluzione zafferano del settembre 2007, anch'essa guidata dai monaci birmani - iniziata come protesta per il caro-carburante - e repressa nel sangue dalla giunta militare allora al potere.

Il Myanmar, composto da oltre 135 etnie, ha avuto sempre difficoltà a farle convivere e in passato la giunta militare ha usato il pugno di ferro contro i più riottosi. I musulmani in Myanmar costituiscono circa il 4% su una popolazione di 60 milioni di persone. Secondo l'Onu, nel Paese vi sono 800mila Rohingya, concentrati in maggioranza nello Stato di Rakhine, teatro nelle scorse settimane di violenze e scontri - che hanno causato decine di vittime - fra la maggioranza buddista e la minoranza musulmana. Un altro milione o più sono dispersi in altre nazioni: Bangladesh, Thailandia, Malaysia. 

 

 

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