05/06/2012, 00.00
CINA – ASIA – STATI UNITI
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Mar Cinese meridionale: fra Washington e Pechino, la “guerra fredda” del secolo

Entro il 2020 il 60% della flotta navale statunitense solcherà le acque del Pacifico, nuovo punto di equilibrio nella geopolitica e nel commercio mondiale. Il ministro cinese della difesa stringe accordi con Phnom Penh e incontra i leader Asean. People’s Daily contro gli Usa: le diatribe nel mar Cinese meridionale “non sono affari” di Washington.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) - Le recenti scaramucce navali nel mar Cinese meridionale fra imbarcazioni battenti bandiera di Pechino, Hanoi e Manila - più volte sfociate in una vera e propria "guerra verbale" - sono il manto dietro il quale si gioca la vera sfida del XXI° secolo: lo scontro fra Cina e Stati Uniti, per il controllo del commercio nel Pacifico e per lo sfruttamento delle risorse nell'area, fra cui petrolio, gas naturali e materie prime presenti nel fondale marino e sugli isolotti, pressoché disabitati. Mentre i responsabili della difesa di Washington e Pechino sono impegnati in veri e propri tour de force diplomatici volti a rinsaldare alleanze e scovare nuovi partner, gli Stati Uniti annunciano il trasferimento - entro il 2020 - del 60 della potenza marittima e navale nelle acque del Pacifico. A testimonianza di un cambiamento radicale degli equilibri rispetto al passato, dove l'asse della potere internazionale ha ruotato attorno all'Europa e alle Americhe.

La scorsa settimana il ministro cinese della Difesa Liang Guanglie ha compiuto una visita "strategica" in Cambogia, dove ha incontrato i leader locali e i vertici Asean, associazione che riunisce 10 Paesi del Sud-est asiatico. Per gli esperti internazionali, gli "incontri di consultazione" rappresentano un colpo della diplomazia di Pechino, ai ferri corti con Manila e Vietnam (nazioni Asean) per il controllo delle acque contese nel mar Cinese meridionale, dove transita circa un terzo del traffico marittimo commerciale internazionale. Phnom Penh e Pechino hanno inoltre sottoscritto una serie di accordi di cooperazione, che rilanciano la presenza del Dragone: fra queste, vi è anche la costruzione di un centro di addestramento per l'esercito.

La risposta degli Stati Uniti non si è fatta attendere: il segretario alla Difesa Leon Panetta ha dominato la scena all'11ma conferenza sulla sicurezza in Asia - i cosiddetti dialoghi di Shangri-La (Sld) - che si è svolta il primo giugno scorso a Singapore. Egli ha annunciato il progetto in fase di elaborazione a Washington, che prevede lo spostamento del cuore della flotta navale nel Pacifico entro il 2020. Essa fa parte della "nuova strategia sull'Asia" voluta dall'intelligence americana, che prevede entro otto anni la presenza del 60% delle risorse navali Usa nell'area, rispetto alla proporzione di 50 e 50 ad oggi in atto nei due grandi Oceani terrestri.

L'asse della geopolitica e del commercio internazionale pare sempre più orientato a spostarsi dall'Atlantico - sull'asse Europa-Stati Uniti - al Pacifico, con il coinvolgimento delle nuove potenze mondiali, su tutti la Cina ma non bisogna nemmeno dimenticare il Brasile fra le nazioni emergenti. Ecco quindi che lo scenario da "guerra fredda" che ha opposto Stati Uniti e Unione Sovietica nel XX° secolo, potrebbe trasformarsi nella contrapposizione fra Pechino e Washinton nei prossimi decenni, col gioco di alleanze attorno alle due superpotenze. Non a caso il neo-presidente Putin - da poco eletto al terzo mandato - ha scelto la capitale cinese per una delle prime missioni diplomatiche in agenda.

Degli equilibri nel mar Cinese meridionale è tornato a occuparsi anche il People's Daily, quotidiano ufficiale di Pechino in lingua inglese. In un lungo editoriale, non firmato e quindi espressione della "linea" della direzione, si legge che gli Usa "partecipano" alle questioni inerenti l'area, ma non sono una nazione che "si affaccia" sul mare. E così come Pechino "non può fermare" il gioco delle alleanze, allo stesso tempo evidenzia che le dispute riguardano "la Cina e gli altri Stati che avanzano rivendicazioni", quindi "non sono affari diretti degli Stati Uniti". Il quotidiano sottolinea il "ritorno all'Asia" della politica Usa, per "formare alleanze in chiave anticinese", ma aggiunge che "i tempi sono cambiati" e queste mosse "contraddicono lo sviluppo generale del continente. Per questo è necessario - conclude l'editorialista - tracciare una linea rossa per gli Stati Uniti", perché sappiano "fino a dove possono arrivare".

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