12/07/2012, 00.00
INDIA
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Massacri del Gujarat: una giustizia a metà

In un caso legato ai disordini interreligiosi del 2002, l’Alta corte di Mumbai ha scagionato cinque accusati per “mancanza di prove”, ma condannato all’ergastolo altre quattro persone. A fine luglio, la Corte suprema deciderà se confermare una sentenza dell’Alta corte del Gujarat, che obbliga il governo dello Stato a ricostruire oltre 500 luoghi di culto distrutti nel massacro.

Mumbai (AsiaNews) - Per "indagini tardive e gravi lacune nel caso" l'Alta corte di Mumbai ha scagionato cinque dei nove accusati per il caso "Best Bakery", uno dei tanti episodi di violenza interreligiosa avvenuti in Gujarat nei disordini del 2002. Per gli altri quattro imputati invece il tribunale ha confermato il carcere a vita. Per p. Cedric Prakash, direttore del Centro gesuita Prashant per diritti umani, giustizia e pace, il verdetto "scatena molte domande", non tanto per la sentenza in sé, quanto per "le motivazioni date dalla corte".

Il caso "Best Bakery" è una delle aggressioni più efferate accadute durante i massacri del Gujarat. Il primo marzo 2002 - due giorni dopo la carneficina del Sabarmati Express -, un gruppo di indù ha aggredito alcuni musulmani, che si erano rifugiati nella pasticceria Best Bakery di Vadodara. Dopo aver saccheggiato il negozio, gli aggressori hanno dato fuoco alla struttura, causando la morte di 14 persone (tra cui alcuni indù che lavoravano nella pasticceria).

Nel leggere il verdetto, i giudici dell'Alta corte di Mumbai hanno dichiarato di aver "concesso il beneficio del dubbio" a Rajubhai Baria, Pankaj Gosavi, Jagdish Rajput, Lalo Devjibhai Vasava e Shailesh Tadvi (gli assolti) per mancanza di prove e testimoni attendibili. Invece, grazie ai racconti di alcuni impiegati sopravvissuti - Tufil Ahmed Siddiqui, Raees Khan, Shahzad Khan Pathan e Shailun Khan Pathan - il tribunale ha condannato al carcere a vita gli altri quattro accusati: Sanjay Thakkar, Bahadur Singh Chauhan, Sanabhai Baria e Dinesh Rajbhar.

"Il caso Best Bakery - spiega ad AsiaNews p. Prakash - è tra i più noti del massacro del Gujarat per due motivi: l'efferatezza dell'aggressione; il voltafaccia di Zaheera Sheikh, testimone-chiave del processo, che nel momento più difficile del caso ha ritirato ogni accusa". Secondo il sacerdote, "non ci sono dubbi che siamo di fronte a un caso di ingiustizia. Ma resta la speranza che si crei un precedente, e che anche ad altre vittime sopravvissute ai massacri sia fatta giustizia".

Il 27 febbraio del 2002 un gruppo di musulmani aggredirono e diedero fuoco al Sabarmati Express, a bordo del quale vi erano indù - soprattutto donne, bambini e anziani - di ritorno da un pellegrinaggio a Ayodhya. L'assalto, in cui morirono 58 persone, scatenò violenti disordini di matrice interreligiosa in tutto il Gujarat. Nel massacro, la comunità islamica dello Stato ha pagato il prezzo più alto: degli oltre 1.000 morti accertati, 790 erano musulmani e 254 indù. Almeno 253 persone sono state dichiarate disperse; 523 luoghi di culto, comprese tre chiese, sono state danneggiate; 27.901 indù e 7.651 musulmani sono stati arrestati. 

Intanto, il 30 luglio prossimo la Corte suprema dell'India si pronuncerà per confermare o annullare una storica sentenza dell'Alta corte del Gujarat, che imponeva al governo dello Stato il risarcimento dei danni e la ricostruzione degli oltre 500 luoghi di culto danneggiati (v. 10/05/2012, "Massacro del Gujarat, il governo ricostruirà oltre 500 luoghi religiosi"). (NC)

 

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