31/03/2008, 00.00
INDIA - TIBET - CINA
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Milioni di firme per spingere Pechino ad aprire i dialoghi col Dalai Lama

di Nirmala Carvalho
Oltre 1,35 milioni di firme raccolte in 7 giorni. Oggi manifestazioni in tutto il mondo. La Cina chiede aiuto all’India contro il Tibet e minaccia l’Europa. Ma deve continuare la repressione. Il leader tibetano accusa la Cina di aver innescato la rivolta con soldati cinesi travestiti da monaci.

New Delhi (AsiaNews) – Si svolge oggi, in India e nel mondo, il Giorno globale di azione per il Tibet. In oltre 63 città del mondo, gli attivisti pro-Tibet presentano alle autorità della Cina e del mondo una petizione perché si apra un dialogo con il Dalai Lama. La petizione ha raccolto on-line  oltre 1,35 milioni di firme in una settimana, risultato mai raggiunto prima (la petizione è su www.avaaz.org/en/tibet_end_the_violence). Intanto Pechino, preoccupata per le crescenti proteste mondiali, cerca sostegno internazionale e “minaccia” l’Unione europea (Ue).

Dhondup Dorjee, vicepresidente del Congresso dei giovani tibetani, dice ad AsiaNews che “il 31 marzo migliaia di persone in tutto il mondo marciano sulle ambasciate cinesi per ammucchiare centinaia di scatole contenenti le nostre petizioni”. Saranno oltre 100 scatole, ciascuna con 10mila firme. Chiedono pure che il Tibet sia escluso dal percorso della torcia olimpica.

A New Delhi c’è stata una dimostrazione di massa al Jantar Mantar, in coincidenza con l’arrivo della torcia a Pechino, con proteste e momenti di preghiera per ricordare la repressione in atto.

Intanto più di 150 gruppi pro-Tibet hanno chiesto a Jacques Rogge, presidente del Comitato olimpico internazionale, di cancellare dal percorso della torcia le zone tibetane. Alcuni sponsor - come Coca Cola, Lenovo e Samsung – sono stati invitati a rinunciare, se il Tibet non è tolto dal percorso.

Pechino appare preoccupata per la crescente pressione internazionale e ieri il viceministro agli Esteri Dai Bingguo ha chiesto all’India “che prosegua a dare comprensione e sostegno alle azioni della Cina”.

Violento il tono, invece, verso l’Ue. Oggi Jiang Yu, portavoce del ministro degli Esteri, ha espresso “forte disappunto” perché i 27 ministri degli Esteri Ue hanno osato discutere azioni per le proteste tibetane. All’importuna Ue, ha ricordato che “il Tibet è una questione del tutto interna alla Cina. Nessun Paese estero o organizzazione internazionale ha il diritto di interferire”. Jiang ammonisce che “qualsiasi persona razionale dovrebbe astenersi dal rischiare una contrapposizione con un quarto della popolazione mondiale”.

Certo non lo rischia il Nepal, dove ieri la polizia ha bastonato con  forza i dimostranti pro-Tibet avanti all’ambasciata cinese a Kathmandu (una ragazza e un monaco in ospedale con gravi ferite) e ne ha arrestati oltre 100, nonostante le proteste dell'Onu, secondo cui simili arresti di massa violano il diritto di manifestare e riunirsi.

Intanto il premier Wen Jiabao, in risposta all’appello per il diaogo fatto dal Dalai Lama il 29 marzo scorso, ha risposto oggi che “la porta è sempre aperta per il dialogo, a condizione che il Dalai Lama rinunci alle richieste di indipendenza e riconosca che il Tibet e Taiwan sono parti inseparabili del territorio cinese”. Il Dalai Lama, peraltro, ha già detto da anni che egli non chiede la separazione del Tibet e Wen non ha commentato la denuncia che in Tibet è in atto un genocidio umano e culturale. Il Dalai Lama ha anche ipotizzato che le violenze a Lhasa siano state scatenate da poliziotti cinesi travestiti da monaci buddisti, per giustificare la successiva repressione. “La popolazione tibetana – ha detto – è non-violenta. Mi viene in mente quanto accaduto nel 1959. In una fotografia un Lama impugna una spada, ma non è una spada tradizionale tibetana. Sappiamo che alcune centinaia di soldati si sono travestiti da monaci”.

Intanto a Lhasa, isolata dal mondo, notizie mandate per messaggi telefonici parlano di improvvisi raid della polizia che causano scene di panico. Pechino ha “rimosso” Danzeng Langjie, direttore del Comitato della Regione tibetana per gli affari etnici e religiosi e altri alti funzionari.

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