14/11/2018, 14.10
BANGLADESH
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Mirpur, la parrocchia ‘dei migranti’ Maria Regina degli Apostoli

La comunità cristiana locale è stata creata dai missionari del Pime 25 anni fa. Il quartiere è composto da vari gruppi tribali emigrati a Dhaka in cerca di lavoro. Il cardine comune per aggregare le famiglie “è stata la fede”.  

Dhaka (AsiaNews) – Dalle catechiste volontarie che il venerdì mattina organizzano attività per i bambini, al Don Bosco club che coinvolge i giovani del quartiere; dai corsi di cucito tenuti dai missionari di San Vincenzo de Paoli, alle ragazze emigrate da tutto il Paese che lavorano nelle fabbriche o studiano nelle scuole della capitale, come Eva che in futuro vorrebbe diventare una suora. Sono alcuni dei volti che si incontrano nella parrocchia di Maria Regina degli Apostoli di Mirpur-2, un quartiere di Dhaka. Da piccola comunità sorta nel nulla, costruita 25 anni fa dai padri del Pime (Pontificio istituto missioni estere) alla periferia della capitale del Bangladesh, oggi la parrocchia è pronta per essere consegnata all’arcidiocesi locale.

P. Franco Cagnasso, missionari italiano, afferma ad AsiaNews: “Non mi piacciono gli slogan, ma si potrebbe dire che qui la nostra missione è compiuta. Lo Spirito Santo ci guiderà su altre strade per ricominciare una nuova missione”. P. Quirico Martinelli, ultimo parroco, racconta che la cerimonia per la “consegna ufficiale della parrocchia è avvenuta l’11 novembre. Ad officiare la messa vi era mons. Shorot Francis Gomes, vicario generale della diocesi. Con una grande festa abbiamo accolto il nuovo parroco, p. Teotonius Proshanto Ribero. Ad allietare la funzione, i canti preparati dal coro della chiesa”.

Le fondamenta della chiesa sono state gettate da p. Gianantonio Baio nel 1994. Da quel momento, racconta p. Cagnasso, “abbiamo fatto tanta strada. Lo stesso quartiere è cambiato molto. L’intuizione vincente di p. Baio fu di fondare una presenza cristiana lì dove nessuno pensava di poter fare missione. Sapevamo che tante famiglie e singoli individui si stavano trasferendo per lavoro nel quartiere e capivamo che avevano bisogno di un sostegno concreto e di accompagnamento spirituale. Erano famiglie provenienti dai villaggi, che avevano perso l’identità cristiana lasciando le proprie case. Noi abbiamo ricreato un tessuto comunitario”.

Secondo il sacerdote, la sfida principale è stata proprio unire un gruppo così variegato di migranti, appartenenti a diversi gruppi etnici che non avevano rapporti tra di loro. Oltre a tutto questo, “un compito ancora maggiore era favorirne l’inserimento all’interno della comunità a maggioranza musulmana”. Il cardine aggregante, afferma, “è stata la fede comune, la sete di Dio che già era in loro”. Poi i servizi aperti dalla parrocchia, “una presenza che parla attraverso i nostri gesti”, come la definisce p. Franco: il consiglio pastorale, la scuola di Santa Teresa che si trova dalla parte opposta della strada, il centro per disabili, la credit union, il centro di discernimento vocazionale per i giovani, il servizio per i malati. Infine “il coinvolgimento dei laici, anche non cristiani, è stato fondamentale per radicarsi nel territorio”.

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