30/01/2019, 09.32
EMIRATI ARABI UNITI - VATICANO
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Mons. Hinder: 'Il Papa in Arabia, ponte di dialogo con musulmani e migranti dell’Asia'

In una comunità di immigrati, la visita del pontefice è segnale di “incoraggiamento e riconoscimento” del loro valore. Una Chiesa “multinazionale e multiculturale” di persone “unite sotto lo stesso cielo”. Negli Emirati si respira un “clima bellissimo”. Grande attenzione dei media musulmani e la spinta al dialogo interreligioso.

Abu Dhabi (AsiaNews) - La visita di papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti, una realtà in cui i cattolici sono in larghissima maggioranza lavoratori migranti provenienti da diversi Pesi dell’Asia, è “un incoraggiamento e un riconoscimento della loro esistenza e del loro valore”. È quanto sottolinea ad AsiaNews mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), alla vigilia del primo viaggio di un pontefice in un Paese del Golfo. “La sua presenza - spiega - diventa testimonianza di unità fra noi, a dispetto di tensioni e differenze che caratterizzano una Chiesa multinazionale e multiculturale: uniti sotto lo stesso cielo”.

“È una comunità di fedeli partecipe. Non sono affatto ‘schiavi’ o persone di serie B, ma cristiani che partecipano in modo attivo alla vita della società e della Chiesa locale” racconta mons. Hinder fra una telefonata e un appuntamento, un lavoro febbrile per limare gli ultimi dettagli. “Siamo una realtà migrante vivace. Questo è il messaggio - aggiunge - che vogliamo mandare con questa visita alla comunità cattolica mondiale, governi e istituzioni: guardate ai migranti come una realtà attiva”.

“La presenza del papa è fonte di incoraggiamento anche per quanti, fra noi, lavorano in modo duro e vivono in una condizione sociale meno benestante. Francesco - sottolinea il vicario d’Arabia - ha a cuore questa realtà, viene anche per loro e li incoraggia… vedremo cosa dira”. 

Il pontefice visiterà Abu Dhabi dal 3 al 5 febbraio, per partecipare all’incontro interreligioso internazionale sulla “Fratellanza Umana”. Per la prima volta un papa si reca nella Penisola Araba, su invito dello sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan e della Chiesa cattolica locale. Gli Emirati sono fra le poche nazione del Medio oriente a poter vantare una certa stabilità, pur non mancando aspetti “oscuri” come il coinvolgimento nella guerra in Yemen e casi di repressione interna.

Come ha sottolineato il ministro della tolleranza Sheikh Nahyan Ben Mubarak Al Nahyan, il papa è considerato “un costruttore di ponti”. Una definizione ripresa anche dal messaggio preparatorio alla visita, assieme alla preghiera francescana “fai di me uno strumento di pace”. “Il pontefice - afferma mons. Hinder - non ha paura di varcare le frontiere e avvicinarsi agli altri, guardando in primis all’essere umano: non si ferma a ideologia, fede o etnia. Questo è l’aspetto più importante”. 

Negli Emirati si respira “un clima bellissimo” e “me lo aspettavo”, confessa mons. Hinder, anche perché la visita del pontefice era “attesa da tempo, già un anno fa me ne parlavano”, molti cristiani e musulmani dicevano “speriamo che venga”. Ciò detto “è bello osservare tutta questa attenzione, anche da parte dei media musulmani”. 

“Dalla visita del papa mi aspetto prima di tutto - auspica il vicario d’Arabia - un influsso positivo sull’ambiente. Francesco gode di molta stima fra i fedeli dell’islam e la sua presenza negli Emirati è motivo di orgoglio. Essa avrà anche un risvolto importante per il dialogo interreligioso e la speranza  è che possa in qualche modo servire ad appianare i conflitti che insanguinano la regione”. La sua è una “parola di pace” che può dare effetti positivi sui molti dossier aperti: Iraq, Iran, Siria, Yemen e tutto il Medio oriente in senso lato. “E gli Emirati - aggiunge - potrebbero essere un esempio per gli altri”. “Il Papa nella penisola arabica - conclude mons. Hinder - potrà portare frutti a noi come Chiesa e nei rapporti con i musulmani, anche in un’ottica di libertà religiosa”. Un messaggio diretto a quei Paesi della regione in cui, ancora oggi, vi sono pesanti restrizioni alla pratica del culto.

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