29/04/2016, 11.44
INDIA
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Mons. Menamparampil: L’Amoris laetitia afferma i valori della famiglia indiana

di mons. Thomas Menamparampil

L’amministratore apostolico di Jowai commenta l’Esortazione apostolica di papa Francesco. Egli ritiene che il documento papale sia applicabile in pieno alla condizione delle famiglie tribali indiane. L’Amoris laetitia parla di situazioni “irregolari”, matrimoni misti, divorzi, bambini abbandonati. Tutto questo si riscontra anche in India dove, come invita il papa, non bisogna cedere a facili giudizi, ma discernere caso per caso.

Jowai (AsiaNews) – L’Esortazione post-sinodale “Amoris laetitia” di papa Francesco “afferma i valori della famiglia indiana e asiatica”. Lo dice ad AsiaNews mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo emerito di Guwahati e attuale amministratore apostolico di Jowai. Facendo riferimento al modello di “famiglia allargata” di cui parla Francesco, che comprende anche “genitori, zii, cugini e vicini”, il vescovo ricorda che tale modello familiare è ben radicato nei villaggi indiani, dove le madri tribali hanno già tanti figli ma continuano ad “adottarne sempre di più”.

Mons. Menamparampil parla della realtà quotidiana delle famiglie di Jowai, le cui condizioni sono enumerate in pieno nell’Esortazione apostolica. Famiglie povere e senza terra, costrette spesso a trasferirsi per lavoro; il partner che rimane nel villaggio che “sviluppa forme di depressione, infedeltà nuovi legami”; bambini abbandonati; matrimoni misti. Il vescovo ricorda le parole del papa, che invita a non giudicare queste situazioni ma porsi come guida nella sofferenza. E poi ricorda che se c’è l’amore, tutto “si può risolvere”. Di seguito il testo del messaggio (traduzione a cura di AsiaNews).

L’Esortazione apostolica è una riaffermazione dei valori della famiglia asiatica e indiana, fermamente radicati nelle nostre culture. Se queste culture hanno resistito per secoli alle pressioni, è perché esse sono state preservate, amate e tramandate nelle famiglie e nelle comunità.

Il documento afferma che “le famiglie numerose sono una gioia per la Chiesa” (n. 167). Esso parla di “genitori, zii, cugini, vicini” (n. 187), che costituiscono “famiglie in senso più generale” (n. 38), amici e altre famiglie che compongono una “famiglia allargata” fatta di altri parenti acquisiti (nn. 196-197). Nei villaggi indiani siamo abituati a questo modello di famiglia allargata.

Il papa parla con rispetto di culture diverse e differenti situazioni (n. 3). Le madri delle comunità tribali non sono in imbarazzo per le dimensioni delle loro famiglie; esse adottano ancora più bambini. Ogni giorno incontriamo madri che tengono i bambini con tutte e due le mani, e nel frattempo urlano ad altri bambini attorno. In genere vivono in comunità di vicinato che hanno un forte senso di solidarietà. È in tali contesti che le culture e le tradizioni si sono diligentemente alimentati e la fede è stata tramandata con cura.

In India abbiamo il vantaggio di vivere in mezzo a una comunità di maggioranza. Anche se essa non appartiene alla nostra fede, la sua cultura dà grande importanza ai valori della famiglia e non vede di buon occhio le deviazioni. In generale la società indù fatica ad accettare la convivenza, l’aborto, il divorzio, o il matrimonio omosessuale.

Inoltre, la maggior parte delle nostre comunità cristiane vive in contesti agricoli e non secolarizzati. Questo non vuol dire che non ci siano difficoltà. Molte delle sofferenze delle famiglie più povere sono legate alla loro lotta per la sopravvivenza. Se sono lavoratori non proprietari di terre, la loro vita familiare è ridotta ai brevi incontri tra i periodi di lavoro intenso. In questo modo, la vita condivisa in famiglia è molto ridotta.

Se si spostano nelle città o in altre regioni in cerca di lavoro, il partner è costretto a vivere da solo la maggior parte del tempo, con il rischio di sviluppare forme di depressione, infedeltà, nuovi legami, rotture e bambini abbandonati (nn. 241-243).  Ad ogni modo, il consiglio del papa è di evitare di giudicare le persone in situazioni simili, discernere il corretto approccio per problemi differenti e fornire indicazioni in tutte queste condizioni di sofferenza (n. 296).

I matrimoni multiculturali stanno diventando sempre più comuni tra i giovani che studiano o lavorano lontano dal casa e vivono in mezzo a persone di altre culture. Ogni cultura possiede proprie categorie di pensiero, modalità espressive, stili di comunicazione, buon senso per l’orientamento, simbolismi che danno significato, norme che regolano i rapporti, modi di manifestare gioia, dispiacere, accettazione o rifiuto. All’interno del contesto familiare, esiste la possibilità che un partner fraintenda il pensiero del compagno con un’altra cultura nel caso in cui emergano differenze di opinione, gusti, visione per il futuro o progetti per i bambini. Ma se il loro amore è autentico e ben radicato, essi riconosceranno e apprezzeranno “le differenze”, e risolveranno i loro problemi attraverso un dialogo sensibile (n. 139).

I matrimoni tra culture diverse sono ancora più complessi: non è facile per i partner trovare una fonte comune di ispirazione. Il matrimonio con un agnostico o un ateo può mettere ancora più alla prova. Eppure, se l’amore prevale e c’è la disponibilità a considerare le convinzioni dell’altro o qualunque cosa egli pensi come favorevole al bene umano, allora esiste sempre la possibilità di soluzione.

Ci sono molti esempi di alcolismo, tensioni legate alla dote e alle violenze domestiche. Il documento ammette che nella vita non tutto è bianco o nero (n. 305). Esso fa riferimento alla “gradualità della legge” (n. 295) e alla “pedagogia dell’amore” (n. 211). Invita gli operatori pastorali “a essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono” (n. 296). Questo avviene quando i pastori capiscono la sofferenza delle coppie nella loro intimità e condividono le loro personali agonie, e manifestano la “forza della tenerezza” che guarisce e il discernimento che dà frutti (n. 308). C’è sempre grande spazio per “la creatività missionaria” nelle situazioni difficili (n. 57).

La cultura della comunità tribale Khasi-Pnar di Jowai è generalmente considerata matriarcale, con le proprietà di famiglia che vengono lasciate in eredità dalla madre alla figlia più piccola. Il ruolo della madre all’interno della famiglia è considerato di enorme valore.

La popolazione che vive qui sarebbe d’accordo con l’affermazione che “il diminuire della presenza materna

con le sue qualità femminili costituisce un rischio grave per la nostra terra” (n. 173). La società diventerebbe “disumana” (n. 174). Ogni donna partecipa del mistero della creazione, come dice il Salmo “Mi hai tessuto nel grembo di mia madre” [139:13] (n. 168). Ma anche la figura del padre è desiderata con forza. Egli deve dimostrare di essere davvero una persona responsabile.

Il documento presenta dei suggerimenti pratici: ricercare l’aiuto della psicologia, sociologia, sessuologia e del counseling e di professionisti con esperienza sul campo (n. 204). Esso propone delle soluzioni realistiche, lasciando poi la libertà di ricercare soluzioni ai contesti. Lasciate che le famiglie in difficoltà siano esposte a persone che prendono sul serio la loro vita cristiana. Saranno proprio le “famiglie missionarie” a dare origine a famiglie simili.

In tutti questi casi, tutti devono ricordare che gli esseri umani sono dei “prodotti incompiuti”, sempre il “continua costruzione” (n. 218). “Ogni matrimonio è una storia di salvezza”, alla ricerca di risposte piene (n. 221). Ciò che ci si aspetta dai pastori è che essi rimangano dei costanti studenti e che cerchino di raggiungere anche le “più disparate periferie esistenziali” (n. 312) con “amore e dolcezza” (n. 59) e fede incessante.

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