20/01/2015, 00.00
MYANMAR
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Myanmar: scarcerato prigioniero politico Rohingya. Decine di attivisti ancora in carcere

Tun Aung, condannato a 17 anni di prigione in seguito a un "processo farsa”, ha ricevuto la grazia presidenziale. Decisiva una campagna di pressione internazionale. Egli era stato condannato mentre cercava di contenere le violenze fra buddisti e musulmani nello Stato di Rakhine. Attivisti birmani: "Il governo rilascia alcuni prigionieri politici, per poi arrestarne un paio in più”.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Il governo birmano ha ordinato la scarcerazione di un medico e leader Rohingya di primo piano, arrestato nel 2012 mentre cercava di contenere le violenze confessionali fra musulmani e buddisti nello Stato occidentale di Rakhine. Attivisti e organizzazioni pro-diritti umani accolgono con favore la notizia, ma ricordano che - a dispetto delle promesse del presidente riformista Thein Sein - ancora oggi le carceri del Myanmar ospitano decine di prigionieri politici. Dalla caduta del regime militare, nel 2011, il governo birmano ha disposto il rilascio di oltre mille detenuti per reati di opinione o politici; una mossa che è servita ad allentare le pressioni internazionali e la rimozione di parte delle sanzioni. Ancora oggi però le carceri del Paese sono affollate da decine di giornalisti, attivisti, manifestanti pacifici e contadini che si sono ribellati all'esproprio forzoso dei terreni. 

La vicenda di Tun Aung, condannato a 17 anni di prigione in seguito a un processo "farsa", aveva guadagnato notevole attenzione anche sul piano internazionale. Nel giugno 2012 egli era stato accusato di aver fomentato le violenze fra musulmani Rohingya e buddisti Rakhine e per questo imprigionato; tuttavia, secondo testimoni locali e attivisti presenti nella zona erano state le stesse autorità birmane a chiedere al medico e leader di intervenire per fermare gli scontri. 

In questi due anni e mezzo di prigionia si sono ripetuti gli appelli e le iniziative per ottenerne la liberazione; proprio la mobilitazione internazionale è risultata decisiva per ottenere amnistie, decurtazioni della pena e, da ultimo, la grazia presidenziale. Commentando la liberazione attivisti e organizzazioni pro-diritti umani sottolineano che il governo di Naypyidaw "rilascia alcuni prigionieri politici, per poi arrestarne un paio in più". 

Il Myanmar è composto da oltre 135 etnie, che hanno sempre faticato a convivere in maniera pacifica, in particolare con il governo centrale e la sua componente di maggioranza birmana. Dal giugno del 2012 lo Stato occidentale di Rakhine è teatro di scontri violentissimi fra buddisti birmani e Rohingya, che hanno causato almeno 200 morti e 250mila sfollati.

Secondo stime delle Nazioni Unite in Myanmar - nazione a maggioranza buddista, con 50 milioni di abitanti - vi sono tuttora 1,3 milioni di appartenenti alla minoranza musulmana, che il governo considera immigrati irregolari e che per questo sono oggetto di abusi e persecuzioni

Vi sono ancora 140mila sfollati rinchiusi nei centri profughi che, secondo quanto stabilito dal governo birmano, devono accettare la classificazione di bengali - e ottenere la cittadinanza - oppure rimanere "a vita" nei campi. All'interno essi sono privati dei diritti di base, fra cui assistenza sanitaria, educazione o un lavoro. Contro l'emarginazione e l'abbandono in cui versa la minoranza musulmana è intervenuta a più riprese anche la Chiesa cattolica birmana

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