06/12/2018, 11.18
ARABIA SAUDITA - EGITTO
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Nel mirino per l’affaire Khashoggi e lo Yemen, Mbs concede pillole di libertà religiosa

Nei giorni scorsi i media arabi hanno rilanciato la “prima” messa copta in Arabia Saudita. La funzione celebrata dal vescovo Ava Morkos si è tenuta in una abitazione privata. Attivisti ricordano che Riyadh non ha compiuto “passi significativi” in tema di libertà religiosa. E i culti diversi dall’islam restano proibiti. 

Riyadh (AsiaNews) - Attaccato su più fronti per la guerra sanguinosa in Yemen, con vittime civili, l’omicidio del giornalista Jamal Khasshoggi e la repressione di attivisti pro diritti umani, il principe ereditario saudita apre - a piccole dosi - in tema di libertà religiosa. In questi giorni i media arabi hanno infatti rilanciato immagini e articoli della “prima” - secondo le cronache - messa copta ortodossa celebrata in Arabia Saudita il 2 dicembre scorso. Cerimonia che, in realtà, si è tenuta in una casa privata ed è stata presieduta dal vescovo egiziano Ava Morkos, di Shobra El Kheima. 

Il vescovo copto avrebbe visitato l’Arabia Saudita dietro invito personale di Mohammed bin Salman, il potente numero due del regno; nel contesto del viaggio, egli avrebbe “portato con sé dal Cairo tutti gli oggetti necessari per celebrare una messa”. Sede della funzione, ripetuta nell’arco di due giorni, l’abitazione di un copto alla presenza di diverse famiglie cristiane della zona. 

Nel contesto della visita il vescovo Morkos ha incontrato il segretario generale della Lega islamica mondiale Muhammad bin Abdul Karim, l’ambasciatore egiziano Osama al-Nugali e personalità egiziane di primo piano. Al centro dei colloqui le modalità per rafforzare le relazioni fra la Chiesa copta ortodossa e i vertici del regno saudita. 

Gli attivisti di International Christian Concern ricordano che nell’ultimo anno Mbs ha incontrato diversi leader religiosi di primo piano nell’ultimo anno. Fra gli altri il patriarca maronita, card Bechara Raï, nel contesto della visita nel novembre dello scorso anno del porporato a Riyadh. Tuttavia, a dispetto delle aperture di facciata verso i vertici, nel regno “non vi sono stati passi significativi in tema di libertà religiosa” per i sauditi e per gli stranieri.

In Arabia Saudita vi è una comunità cristiana, costituita in massima parte da lavoratori migranti provenienti dall’Asia (India e Filippine su tutti) e dall’Egitto. Una realtà che vive con estrema discrezione la propria fede (la notizia di funzioni in abitazioni privare non è una novità), per non incorrere nella repressione delle autorità o dell’ala musulmana radicale. Del resto nel regno vige una monarchia assoluta sunnita, retta da una visione wahhabita e fondamentalista dell’islam che non ammette altro culto all’infuori di Maometto. 

Di recente nel Paese sono emerse notizie di arresti di attivisti e torture in cella, che mostrano una volta di più quanto sia illusorio e di facciata il programma di “riforme” volute dal 33enne principe ereditario Mohammad bin Salman e tanto sbandierate dai media locali nel contesto del programma Vision 2030. Riforme che, in parte, avrebbero toccato la sfera sociale e dei diritti con il via libera alla guida per le donne. In realtà gli arresti di alti funzionati e imprenditori lo scorso anno, la repressione di attivisti e voci critiche, la guerra in Yemen con le vittime civili, anche bambini, e l’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi gettano più di un’ombra su Mbs.

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