17/04/2008, 00.00
KAZAKISTAN
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Nel mondo dell’economia globale tornano i divieti all’esportazione di grano

Il bando all’esportazione del grano kazako causa grandi difficoltà a Paesi vicini. Eppure nello Stato la produzione è in aumento e nel futuro progetta di rifornire Europa e Cina.

Astana (AsiaNews/Agenzie) – Il bando dell’esportazione del grano, deciso il 15 aprile da Astana, colpisce molto i Paesi vicini non autosufficienti, quali Kirghizistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, colpiti da un inverno gelido che ha distrutto gran parte delle coltivazioni. Importarlo da un altro Stato aggraverà i costi, anche per il trasporto, e le finanze di Kirghizistan e Tagikistan (che importano 214mila e 216mila tonnellate di grano kazako, pari al 19% e al 15% del rispettivo consumo) sono già molto provate. Anche l’Azerbaigian compra circa 360mila tonnellate di grano kazako l’anno.

Il divieto, che non comprende la farina e sarà in vigore almeno fino al 1° settembre (quando si potrà valutare il nuovo raccolto), è motivato con la volontà di  contenere l’inflazione interna, assicurare le necessità domestiche e impedire una scarsità di pane come è successo nel 2007. Segue il divieto o le minori esportazioni decisi da altri grandi produttori della zona, quali Russia, Bielorussia e Ucraina, ma anche Egitto e Argentina. In molti Paesi del mondo la scarsità di cibo ha già causato proteste pubbliche.

Il Kazakistan ha avuto un raccolto di 20,1 milioni di tonnellate di grano nel 2007, con un aumento del 22% rispetto ai 16,6 milioni del 2006. Nel 2007 ne ha esportato 8 milioni di tonnellate (in parte trasformato in farina). Il prezzo è molto aumentato e continua a salire, tra l’altro, per gli scarsi raccolti in molti Paesi per la siccità, l’aumento di coltivazioni destinate al biocarburante e la maggior richiesta mondiale. Peraltro Astana programma di aumentare in pochi anni la produzione a 26 milioni di tonnellate e di esportarne anche 12 milioni: per questo sta costruendo nuove strutture sul Mar Caspio per il trasporto verso l’Occidente, come pure progetta maggiori vendite alla Cina.

Gli analisti ritengono che il bando potrebbe finire anche prima, dato che impedisce ai produttori di realizzare maggiori profitti e potrebbe causare accaparramenti speculativi, favorire fenomeni di corruzione per consentire un’esportazione “in nero” o, addirittura, disincentivare la produzione. Osservano che l’effetto sui prezzi interni è solo momentaneo e prevedono rapidi aumenti non appena il divieto sarà tolto. (PB)

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