01/09/2011, 00.00
SRI LANKA
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Nuove leggi antiterrorismo, le stesse dello “stato di emergenza”

Perquisizione senza mandato e detenzione di potenziali sospetti senza bisogno di accuse. Il 25 agosto il presidente Mahinda Rajapaksa aveva dichiarato la fine dello stato d’emergenza. Tra un mese, a Ginevra, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite discuterà dei presunti crimini di guerra commessi dall’esercito nelle ultime fasi del conflitto etnico.
Colombo (AsiaNews/Agenzie) – A pochi giorni dalla dichiarazione della fine dello stato d’emergenza, lo Sri Lanka fa sapere che approverà delle “nuove” leggi antiterrorismo. Di fatto, il Prevention of Terrorism Act (Pta) conserverà buona parte delle norme in vigore durante lo stato d’emergenza, incluse la perquisizione senza mandato e la detenzione di potenziali sospetti senza accuse a carico.

All’annuncio del presidente Rajapaksa di eliminare lo stato di emergenza, il 25 agosto scorso, alcune personalità del mondo cristiano avevano manifestato dubbi sulla concretezza di tale mossa, confermati dalla notizia di queste “nuove” leggi. Tuttavia, il governo difende la sua scelta definendola “preventiva”, nata per “gestire” le questioni relative all’organizzazione terroristica delle Tigri Tamil (Ltte) in assenza di una legge di emergenza.

Il prossimo mese, oltre mille sospetti – arrestati durante la guerra – sarebbero stati liberati, proprio per la fine dello stato d’emergenza. Il procuratore generale ha dichiarato che il loro rilascio o eventuale azione penale saranno valutate caso per caso.

Dal 1971 il Paese ha vissuto tensioni, attentati e guerriglia nella lotta contro le Tigri Tamil. Salvo brevi periodi, per oltre 30 anni lo Sri Lanka ha vissuto in stato d’emergenza, sottomesso a leggi draconiane che garantivano ampio potere d’arresto alle forze di sicurezza.

La decisione di annunciare la fine dello stato d’emergenza è arrivata a un mese di distanza dal prossimo incontro del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, a Ginevra, dove si dovrebbe discutere dei presunti crimini di guerra commessi dall’esercito durante le ultime fasi del conflitto etnico.
 
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