20/07/2007, 00.00
FILIPPINE – ITALIA
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P. Bossi: “Tornerò fra la mia gente”

di Santos Digal
Il missionario italiano ripercorre i drammatici giorni del sequestro. Gli mancano il calore della gente e l’affetto “dei bambini”, perché il suo cuore “è e resta sempre a Payao”. Si moltiplicano i messaggi di felicitazioni per il suo rilascio.

Zamboanga (AsiaNews) – “Voglio tornare a Payao e salutare la mia gente, dire loro che sto bene e soprattutto abbracciare di nuovo i bambini. Il mio cuore è e resta a Payao. Dicono che un prete sia anche padre e proprio come padre della comunità ho il dovere di tornare fra la mia gente, fra i miei bambini”. Si asciuga le lacrime dal viso p. Giancarlo Bossi, mentre racconta a caldo i giorni difficili del sequestro: i rapitori l’hanno tenuto sotto la costante minaccia di armi mentre cercavano di sfuggire ai controlli a tappeto della polizia. Durante l’incontro con i giornalisti p. Bossi indossava una veste nera, si è commosso a più riprese mentre ripercorreva con la mente i giorni del sequestro e dei rapitori dice che si sono presentati come “appartenenti alle milizie fondamenatliste di Abu Sayyaf”.

Alternando nel racconto l’inglese al dialetto locale, il missionario italiano ha confermato che i rapitori lo hanno “trattato bene”, nonostante i “continui spostamenti per sfuggire alla polizia”. “Ho avuto solo problemi con il cibo: la dieta a base di riso, sale e pesce secco mi ha fato perdere 15 kg, ma non importa, perché a breve li recupererò tutti”. Egli conferma di essersi sempre spostato all’interno di Lanao, senza peraltro chiarire se si trattasse della zona a nord o a sud della provincia. E per riuscire a tenere il passo dei rapitori ha dovuto abbandonare, lui fumatore incallito, le sigarette: “Una notte, mentre stavamo scalando una montagna, mi è mancato il fiato: mi sono detto che, per sopravvivere, dovevo smettere di fumare e così ho fatto”.

P. Bossi dice di non aver paura e se i suoi superiori “lo permetteranno” farà di sicuro “ritorno a Payao: appena possibile sarò di nuovo fra la mia gente”. Alla domanda di un giornalista che gli ha chiesto cosa avrebbe voluto fare ora, egli ha risposto che “da uomo libero posso tornare a godere appieno della vita e incontrare la gente. E’ stata un’esperienza incredibile”. In merito alla morte dei 14 marine uccisi dai fondamentalisti a Basilan, egli ha espresso tutto il suo “rammarico” e dice di sentirsi “responsabile”.

La sua giornata tipo durante i giorni di prigionia era: sveglia alle 4.30 del mattino, lunghe camminate nella foresta per raggiungere il bivacco successivo, il che avveniva verso le 7 di sera, e poi “si cercava – per quanto possibile – di dormire. Di giorno era impossibile farlo a causa delle zanzare”. Mentre camminava la sua mente andava “agli amici e alla famiglia, alla situazione che stavo vivendo, e ovviamente alla preghiera: tenere attiva la mente è stato fondamentale per sopravvivere”. Questa mattina ha potuto finalmente gustare un piatto di fettuccine, pane e una tazza di caffé. Egli ha cercato anche di ricordare i nomi dei rapitori, ma è stato subito interrotto: sono tuttora in corso battute della polizia alla ricerca dei sequestratori e sulla loro identità viene mantenuto uno stretto riserbo. E non è stato ancora chiarito se siano membri di Abu Sayyaf o miliziani del Fronte islamico di liberazione Moro (MILF), mentre si esclude con forza l’ipotesi che sia stato pagato un riscatto.

Nel frattempo si moltiplicano i messaggi per la liberazione di p. Bossi. Il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Giuseppe Betori, scrive che “i vescovi italiani esprimono profonda gratitudine a quanti hanno operato e pregato in queste settimane per la liberazione di P. Bossi. In questo momento siamo ancora più vicini alla Sua famiglia di origine e alla sua famiglia religiosa che vivono - insieme a tutti - il momento tanto atteso, dopo giorni di preoccupazione e di tensione. In questa circostanza lieta ci piace anche rievocare l’impegno silenzioso di tanti missionari e di tante missionarie che – come p. Bossi - in tutti i continenti rendono testimonianza al Vangelo di Gesù Cristo, anche a rischio della loro vita”.

Gioia vien espressa anche dalla conferenza episcopale filippina (CBCP). che in un comunicato ufficiale ringrazia quanti si sono adoperati per il rilascio del missionario. “Salutiamo con gioia e gratitudine – afferma il presidente della CBCP mons. Angel Lagdameo, arcivescovo di Jaro – la liberazione del missionario. Per molte settimane, a nome della famiglia e della comunità, molte persone si sono riunite in preghiera e hanno chiesto misericordia e compassione per p. Bossi”. “I missionari stranieri – continua il comunicato – compiono un grande servizio per la popolazione, in tutti gli angoli del Paese e in special modo nel Mindanao, a dispetto di grandi sacrifici e pericoli. Auspichiamo quindi che quanto successo a p. Bossi non si ripeta più in futuro”.

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