30/07/2005, 00.00
vaticano - israele
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P. Jaeger: Israele –Santa Sede, una crisi profondissima, che Sharon può risolvere

di Bernardo Cervellera

Il francescano israeliano, esperto nelle relazioni fra Israele e Santa Sede, denuncia le cause della crisi e suggerisce alcuni passi da fare per Sharon e per la Chiesa.

Tel Aviv (AsiaNews) – Una crisi inaspettata e senza precedenti è scoppiata nelle relazioni fra la Chiesa cattolica e il governo d'Israele. Per capirne di più, AsiaNews ha ottenuto un'intervista con il francescano israeliano p. David M. Jaeger. P. Jaeger, un noto esperto legale nelle relazioni fra Santa Sede  e Israele.

Il frate francescano afferma che la crisi profonda fra Israele e Santa Sede ha avuto una causa "banale": una "falsa crisi", fatta "scoppiare in modo artigianale" da alcuni funzionari "di basso livello" del Ministero degli Esteri, per nascondere inoperosità e ritardi nel completare l'Accordo Fondamentale fra Israele e Santa Sede.

Secondo il frate, il primo Ministro Sharon - che in passato ha sempre apprezzato la Chiesa Cattolica, Giovanni Paolo II e lo stesso Benedetto XVI – non sapeva nulla di tutta questa messinscena.

P. Jaeger suggerisce al governo Sharon i passi da fare per salvare le relazioni: scuse al Papa e alla memoria di Giovanni Paolo II e ripresa immediata dei negoziati fino a completamento.

Il padre francescano si dice amareggiato che in questi giorni, di fronte alla "propaganda dell'odio" propinata dai membri del Ministero degli Esteri, non vi sia stato in Israele una voce capace di parlare "in lingua ebraica" a nome della Chiesa locale. Egli auspica perciò che cresca sempre di più in Israele un "soggetto ecclesiale" che porti nel mondo israeliano, in lingua ebraica, le preoccupazioni e la visione della Chiesa cattolica, in dialogo con la comunità d'Israele.

Ecco il testo completo dell'intervista a p. David M. Jaeger.

 

P. Jaeger, come mai questa crisi all'improvviso?

Anche nelle relazioni internazionali capita che grossi fatti nascono da cause molto banali: un funzionario di basso livello del Ministero israeliano degli Esteri non ha fatto i suoi "compiti a casa", per prepararsi all'incontro con la delegazione della Santa Sede fissata per il 25 luglio. All'ultimo momento aveva bisogno di trovare disperatamente una scusa per cancellare l'incontro: tutto qui.

La storia comincia il 23 agosto 2003, quando il Ministero degli esteri tutt'a un tratto ritira la sua delegazione dai negoziati con la Santa Sede, anche tutti gli appuntamenti futuri e si rifiuta di accordarsi su nuove date. Tutto questo è contrario alle obbligazioni prese da Israele con la firma degli Accordi Fondamentali fra Santa Sede e stato d'Israele: l'articolo n. 10 obbliga Israele a negoziare in buona fede "un accordo completo" sul regime fiscale da applicare alla Chiesa cattolica e sulle proprietà della Chiesa.

Lo stallo in cui si era caduti ha spinto all'azione anche personalità del Congresso e la stessa Amministrazione degli Stati Uniti. In occasione della visita del Primo Ministro israeliano alla Casa Bianca il 14 aprile 2004, Sharon e il suo popolo hanno promesso di riprendere i negoziati con la Santa Sede e di sostenerli per giungere a piena conclusione.

In effetti, i negoziati sono ripartiti nell'estate 2004, ma all'inizio del 2005, alcuni rappresentanti israeliani minori hanno ricominciato a creare difficoltà, rendendo sempre più difficile lo stesso incontrarsi. Ormai, la loro politica – se ne hanno una – è incomprensibile. È stato chiesto loro di  mettere per iscritto i loro piani, per capire come rispondere e come programmare una ripresa dei negoziati. Ad un incontro del 15 giugno, essi promettono di preparare un documento scritto per l'incontro seguente, fissato al 19 luglio. Con l'avvicinarsi di questa data, essi hanno fatto capire che non avevano ancora preparato il loro compito e hanno chiesto di ritardare l'incontro al 25 luglio. Ma anche a questa data non erano pronti. Il loro timore è che questa politica di cancellare sempre tutti gli incontri, evitando i negoziati, è incompatibile con le promesse fatte a Washington e potrebbe creare difficoltà all'interno dello stesso governo israeliano. Da qui l'idea di far scoppiare in modo artigianale una falsa crisi  il 25 aprile, dopo aver dato un'occhiata veloce all'Angelus di Benedetto XVI su Internet. Per sfuggire alle critiche americane e forse alle critiche dello stesso governo israeliano, dovevano fare un attacco al papa particolarmente feroce, ed è ciò che hanno fatto. Come è stato notato da molti, l'attacco era scritto in grande fretta, pieno di errori di lingua ebraica…

Ma perché attaccare perfino la memoria di Giovanni Paolo II?

Questo è il punto dove le cose sono andate oltre ogni misura. Le obbligazioni del trattato sono state fatte a Giovanni Paolo II, l'amico più grande che il popolo ebraico abbia mai avuto. L'unico modo per giustificare il rifiuto era di attaccare la memoria di questo santo pontefice, che solo poco tempo fa è stato esaltato dal governo israeliano. Sono passate poche settimane da quando il governo israeliano ha diffuso un francobollo commemorativo alla memoria di Giovanni Paolo II, e ha mandato un ministro a presenziare l'inaugurazione del pontificato di Benedetto XVI.

Passerà alla storia questo fatto

Lei dice che gli attacchi al papa sono frutto della mente di alcuni funzionari minori, contrari alla linea del Primo Ministro. É possibile?

 Cero. Il Primo ministro in questi giorni era impegnato totalmente con la sua importantissima visita al presidente francese; con le controversie e i drammi attorno al ritiro da Gaza; con le Procura generale che ha accusato suo figlio… Sono certo che egli non è stato informato in nessun modo sullo stupefacente atteggiamento di alcuni funzionari di basso livello del Ministero degli Esteri. Questi hanno tentato di demolire uno degli elementi più importanti nelle relazioni internazionali dello stato d'Israele. Non so cosa potrà fare ora il Primo ministro: se prenderà l'iniziativa di riparare il danno, o  se coprirà le malefatte dei funzionari. Ad ogni modo, in passato Sharon ha compreso molto bene l'importanza delle relazioni con la Chiesa cattolica. Lo si è visto dalle sue promesse a Washington sulla ripresa dei negoziati. Ancora prima, è stato lui – incoraggiato dal presidente Bush e da tutti i cristiani del mondo – a cancellare la decisione del suo predecessore(il Primo Ministro Barak), di far costruire una moschea proprio di fronte alla basilica dell'Annunciazione a Nazareth. Il Primo Ministro Sharon ha la possibilità di isolare il funzionario responsabile dell'offesa e riportare in alto il buon nome dello stato d'Israele.

Quali potrebbero essere le mosse del governo per far terminare la crisi?

Va detto anzitutto che la crisi è di proporzioni gigantesche: mai il governo di Israele (o un altro governo del mondo civile) ha lanciato accuse così crude e attacchi così violenti al capo della Chiesa cattolica, sia al pontefice regnante, sia alla memoria del suo immediato predecessore, sia – in qualche modo – a tutta la Chiesa e a tutti i cattolici. Ad ogni modo si potrebbe riparare senza troppe difficoltà. Penso che il capo del governo dovrebbe fare due passi contemporaneamente:

1)      una presentazione di scuse piene e senza riserve a Benedetto XVI e alla memoria del santo papa Giovanni Paolo II;

2)      un riconoscimento pieno e senza riserve delle obbligazioni verso la Santa Sede prese dallo stato d'Israele con la firma dell'Accordo Fondamentale del 1993. Questo implica una piena adesione ad esso, compreso un'immediata, piena ripresa dei negoziati, esplicitamente richiesti dall'articolo 10 dell'Accordo Fondamentale. Tali passi sono richiesti dal punto di vista morale e legale e hanno la possibilità di riparare all'immenso danno causato dalla superficialità di alcune persone.

P.Jaeger, lei ha speso molti anni di lavoro nel cercare di costruire le relazioni fra Santa Sed e Israele. Come si sente in questi giorni?

Non riesco nemmeno a dire una parola, per come mi sento. Il dolore è davvero grande.

C'è qualcosa d'altro da imparare da questa crisi?

Certo. Questa crisi fa emergere la difficile situazione in cui versa la Chiesa cattolica in Israele: essa non ha alcuna struttura che sia capace e desiderosa di parlare al pubblico ebraico e di prendere parte alle problematiche che si discutono nell'opinione pubblica. Nonostante lai molti volti della presenza della Chiesa in Terra Santa, la Chiesa cattolica è assente dalla società e dalla popolazione israeliana di lingua ebraica. In tutta questa settimana, mentre la propaganda dell'odio veniva diffusa dal ministero degli esteri e da quelli da esso istigati, non c'era nessuno in grado di rispondere: nessuno in Israele, in lingua ebraica, nei media israeliani, di fronte al pubblico israeliano. Il campo è completamente abbandonato

Non conosco un'altra nazione dove la Chiesa è sprovvista allo stesso modo di rappresentanza pubblica, senza nemmeno un addetto stampa, capace e desideroso di impegnarsi nel dialogo con la nazione ebraica, usando la lingua ebraica. Questo è un problema che va risolto in modo stabile, così che in tempi di crisi, sia sempre possibile trovare un portavoce della Chiesa, capace di dialogare e interloquire con i media nazionali.

Si è discusso e scritto per anni sul bisogno di stabilire un soggetto ecclesiale capace di di essere la Chiesa nella nazione israeliana, proprio come la Chiesa, presente in ogni altra nazione, secondo il comando del Signore e l'insegnamento del Concilio Vaticano II.

Questa presenza è di fondamentale importanza anche per ogni altro aspetto della vita della Chiesa in Terra Santa. Essa è nell'interesse di tutte le altre comunità nazionali all'interno della comunità ecclesiale. Ma questo è un discorso che va affrontato più avanti in altre occasioni.

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