10/12/2009, 00.00
VATICANO - MEDIO ORIENTE
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P. Samir: La scomparsa delle Chiese del Medio oriente, tragedia per cristiani e musulmani

di Samir Khalil Samir
Il Sinodo delle Chiese nel Medio oriente indetto dal papa per l’ottobre 2010, vuole portare alla luce la loro difficile situazione esterna e i molti problemi interni. La piaga più grossa è l’emigrazione, che cancella la missione dei cristiani. Se scompaiono i cristiani del Medio Oriente, vi saranno problemi anche per l’islam.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Benedetto XVI ha indetto per l’ottobre 2010 un Sinodo delle Chiese nel Medio oriente. Prepararsi ad esso significa anzitutto cercare di comprendere la situazione in cui è immersa questa parte del mondo e quali sono i difficili problemi che le Chiese stanno soffrendo.

Anzitutto vi è una diffusa situazione conflittuale. Ve n’è una che dura da decenni, quella fra Israele e Palestina; da questa sono nate altre situazioni di guerra in altri Paesi, ad essa correlate.

Poi vi è il cambiamento politico avvenuto in Iran nel ’79, che ha portato alla ribalta il movimento sciita. Nei tanti Paesi dove esso esiste, esso sta prendendo coscienza della sua personalità, anche se spesso ciò avviene con aspetti di contrapposizione.

Un terzo elemento è la nascita del terrorismo islamico che dai Paesi del Medio oriente si diffonde in tutto il mondo. Poi bisogna aggiungere la guerra in Iraq e le sue conseguenze. Tutte queste situazioni politiche sono in un modo o nell’altro correlate fra di loro.

Un’altra importante dimensione è la crescita del movimento fondamentalista islamico. Questo ha molto modificato la struttura sociale della regione: da decenni si vede l’insistenza nei media dei discorsi islamici; nella scuola vi è un insegnamento vasto dell’islam, specie di quello fondamentalista; per le strade si vedono sempre più annunci religiosi; i segni esterni tradizionali o estremisti di questa tendenza. In alcuni Paesi la crescita di fondamentalismo ha favorito l’adozione della sharia o di parte della sharia. Questo ha una forte influenza sulla vita dei cristiani, perché sono costretti a comportarsi in modo “più islamico”, subendo spesso l’emarginazione sociale.

Anche in Palestina - dove un tempo la tendenza laicista era prevalente - nell’ultimo decennio è molto diminuita e la tendenza fondamentalista si è accresciuta. La libertà religiosa poi è diminuita ovunque, soffocando la missione della Chiesa.

Emigrazione

La tendenza più facile con cui i cristiani rispondono a questa situazione è la reazione uguale e contraria: affermare con più durezza l’identità cristiana; avere un rapporto più duro gli uni con gli altri. Questo è evidente in Egitto, ma anche in altre situazioni.

Un altro modo di reagire è quello di emigrare. Tutti, cristiani e musulmani, emigrano per motivi socio-economico, di rado per motivi religiosi. Ma i cristiani emigrano più dei musulmani e fra i motivi che spingono i cristiani vi sono anche motivi di libertà, culturali, morali che si assommano.  L’emigrazione è facilitata dal fatto che molti cristiani hanno già all’estero parenti e amici, frutto delle passate migrazioni.

Nel caso dell’Egitto è evidente: l’emigrazione musulmana è sempre stata temporanea, verso i Paesi del Golfo, si emigra per alcuni anni e poi si ritorna. I cristiani invece sono emigrati vero l’America del Nord o l’Europa o l’Australia, trapiantandosi in modo completo.

L’emigrazione non è un fattore totalmente negativo: essa può essere anche occasione di rinnovamento. La comunità copta negli Stati Uniti, ad esempio, ammonta almeno a 700 mila fedeli. Questi si sono confrontati con la cultura americana o australiana e hanno cercato di mantenere la tradizione copta – ad esempio il digiuno che è molto intenso e lungo – , il rispetto per il clero e per la propria Chiesa. Allo stesso tempo essi hanno scoperto altri modi di celebrare, una maggiore vicinanza alle Sacre Scritture, la teologia occidentale. Questo ha permesso un vero ecumenismo e una apertura alle altre comunità religiose. E questo è un contributo positivo alla loro Chiesa.

L’emigrazione ha aspetti positivi anche dal punto di vista economico perché sostiene le famiglie e le Chiese in patria.

Anche la presenza del fondamentalismo islamico ha degli aspetti positivi: esso spinge i cristiani a vivere la fede con più radicalità e in modo più personale, proprio perché c’è un attentato alla loro fede. Il sentimento religioso si rafforza; talvolta, tale sentimento religioso in cristiani e musulmani cade nel fanatismo, ma più spesso suscita desideri di maggiore riflessione, libertà e scoperte.

La missione della minoranza cristiana

A peggiorare la situazione vi è il fatto numerico: i cristiani sono una minoranza; essi non hanno né numeri, né milizie per rivendicare uno spazio. La loro presenza non è sostenuta né dalla regione - perché essa è massicciamente musulmana - né dall’estero perché Europa e America si interessano poco al destino dei cristiani. Quando si interessano è perché la questione dei cristiani è legata alla situazione economica e politica.

Per tutta questa serie di motivi è necessario fare il punto per  vedere che futuro hanno i cristiani in Medio oriente. E questo è lo scopo del Sinodo: capire anzitutto la situazione e intuire delle piste sul da fare.

Molti cristiani sono tentati dall’emigrazione. Questa scelta indebolisce chi rimane: chi parte è il più preparato dal punto di vista culturale ed economico; chi rimane è il più debole e il più povero. Questo rischia di suscitare un circolo vizioso: più parte gente, e più chi rimane è oppresso.  Una cosa simile è accaduta in Turchia. A tutt’oggi vi sono più fedeli siriaci in Arabia saudita (emigrati dall’India) che in Turchia e in Siria messi insieme. Se guardiamo da un punto di vista personale, il cristiano è capace di adattarsi a tutte le situazioni. Questo significa che in capo a una-due generazioni, i cristiani all’estero divengono dei residenti permanenti e si integrano in un’altra comunità cristiana.

Ma la domanda è anche: i cristiani hanno una missione specifica in Medio oriente?

Se uno pensa alle conseguenze per le comunità a livello mondiale, bisogna dire che c’è il rischio di  una grande perdita per la cultura universale e per la Chiesa universale: la fine delle Chiese dell’Oriente. Entro pochi decenni una gran parte del pensiero delle Chiese d’Oriente sarebbe cancellato. E nessun libro potrebbe sostituirla.

Una grave perdita

Ma sarebbe una grande perdita anche per i Paesi dell’Oriente. I cristiani sono una voce diversa, stimolante, diversa da Israele e dai musulmani, con una cultura specifica che arricchisce quest’area culturale. Sarebbe anche una perdita per la società civile perché i cristiani rappresentano una tradizione di libertà, di apertura che in parte è mancante nella tradizione islamica, più rinchiusa su stessa.

Questo fenomeno si è verificato molte volte nella storia: sono i cristiani siriaci che dall’VIII secolo fino al XII hanno introdotto il pensiero ellenistico in filosofia, medicina, scienza. E sono loro, nell’800 e nel ‘900, ad aver introdotto il pensiero europeo attraverso le loro traduzioni. Essi sono un ponte culturale. E per lo stesso mondo islamico sarebbe una perdita. Insomma, l’emigrazione dei cristiani verso l’estero e la loro scomparsa dall’Oriente sarebbero un danno per tutti, a cominciare dagli stessi musulmani.

 

Foto: CPP

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