31/10/2003, 00.00
GIORDANIA
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Pace apparente in una zona infuocata

Amman - Sebbene circondato da situazioni calde, come la Palestina e l'Iraq, la Giordania è da sempre considerato un Paese senza troppi problemi. Ma l'accresciuta tensione a Baghdad e a Gerusalemme non fa sperare tranquillità nel futuro. Le scelte di politica estera negli Stati Uniti hanno creato contraccolpi nel mondo arabo e anche in Giordania. L'anno scorso un diplomatico americano è stato ucciso, probabilmente da un gruppo di terroristi arabi, sostenuti da estremisti locali. Nel Paese vi sono gruppi che si ispirano all'islam fondamentalista, e vi è anche una storia di attacchi terroristi - fin dalla migrazione dei profughi palestinesi in Giordania nel 1948 - ma finora il governo è riuscito a tenere in pugno la situazione. La Giordania cerca di distinguere fra terrorismo da condannare e combattere - e per questo Amman si è unita alla comunità internazionale, dopo l'11 settembre - e islam.

Il re Abdullah II, in molte occasioni ha chiesto alla comunità internazionale di distinguere le due cose, sottolineando che l'islam è una religione di pace, amore, perdono e non una religione del terrore. Per questo, una delle linee guida del suo governo è quello di sostenere il dialogo con la comunità cristiana. Nel marzo 2002 il re è stato lo sponsor di una Conferenza sugli "Arabi cristiani", a cui hanno partecipato personalità palestinesi e giordane. Fra i più entusiasti del dialogo islamo-cristiano in Giordania vi è il p. Nabil Haddad, greco-cattolico, fondatore e direttore del Centro di Ricerche per la convivenza interconfessionale. Egli ha dichiarato ad Asianews: "Negli ultimi 14 secoli il nostro Paese è stato un esempio di coesistenza fra cristiani e musulmani… La nostra è terra santa, origine delle tre religioni rivelate; essa dovrebbe essere la culla della coesistenza per tutto il mondo. Per questo dobbiamo eliminare il terrorismo. Ma il terrorismo cresce lì dove c'è povertà, disprezzo per la dignità e i diritti umani; o dove vi sono conflitti politici, alimentati da estremisti che usano della religione come una copertura".

Ma altri cristiani sono più scettici. Un prete cattolico, che non ha voluto farsi identificare, ha affermato: "È vero, [al Congresso dello scorso anno] vi erano musulmani moderati che hanno iniziato un dialogo con personalità cristiane, ma il risultato di questo incontro, con la benedizione del re Abdullah II, è stato quello di migliorare l'immagine dell'islam in Occidente". In realtà, egli conclude "l'islam rifiuta il dialogo con le altre religioni. Tant'è che i problemi pratici del rapporto fra cristiani e musulmani rimangono". Il sacerdote afferma che in Giordania i cristiani sono privati di diritti legali in molti aspetti. Nell'esercito essi possono giungere solo fino a un certo grado; nelle assunzioni pubbliche e private si favorisce sempre un musulmano, anche se non è qualificato per il lavoro richiesto; i matrimoni misti - in cui la donna cristiana è obbligata a convertirsi - finiscono spesso con il divorzio e la donna divorziata perde i suoi diritti legali. Molti cristiani subiscono vari tipi di discriminazione sul lavoro; in molti casi, soprattutto al nord del Paese, gli imam, alla preghiera del venerdì in moschea, attaccano verbalmente i cristiani, seminando ira, odio e violenza nei musulmani verso i colleghi, i vicini, gli amici cristiani.

Per frenare questo stato di cose, il governo ha lanciato la campagna "Jordan first (la Giordania al primo posto)" varando leggi che esigono assunzione di personale qualificato, senza badare alla fede. Nel governo giordano vi sono attualmente tre cristiani nei Ministeri degli Esteri, delle Acque e delle Finanze. Anche nelle Camere Bassa e Alta vi sono un discreto numero di cristiani, ma secondo molti fedeli locali questo è dovuto al fatto che vi è una quota fissa di seggi che va ai cristiani.

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