18/04/2008, 00.00
VATICANO - ONU
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Papa: i diritti umani misura del bene comune negli Stati e tra le nazioni

Nel discorso all’Onu Benedetto XVI sottolinea il fondamento etico, e quindi universale, dei diritti dell’uomo. Tra essi la libertà di religione, per la quale un governo non può costringere a “rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti di cittadino”.
New York (AsiaNews) - I diritti umani, in quanto basati sulla legge naturale e sulla uguaglianza degli uomini, sono universali, indivisibili ed interdipendenti, sono il substrato comune delle relazioni internazionali e la misura del bene comune, la loro promozione serve ad eliminare le disuguaglianze tra Paesi e gruppi sociali, tanto che le norme internazionali riconoscono ormai la “responsabilità di protezione” che grava sugli Stati, al punto da consentire interventi della comunità internazionale in caso di loro grave violazione.
 
Terzo papa, dopo Paolo VI (1965) e Giovanni Paolo II (1979 e 1995), ad intervenire davanti all’assemblea delle Nazioni Unite, Benedetto XVI ha dedicato oggi la sua lunga riflessione ai diritti umani, prendendo spunto dai 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Tra loro, in primo luogo la libertà di religione, spesso violata, al punto da voler costringere a “rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti di cittadino”.
 
Ma il papa-teologo non si è dedicato alla disanima di casi e situazioni concrete – solo un accenno alla povertà dell’Africa – ma ha puntato l’attenzione sul carattere etico – in quanto proveniente dal Creatore - della natura dei diritti dell’uomo, che li pone al di sopra anche delle legislazioni degli Stati. Proprio il loro trovare origine nella natura stessa dell’uomo creato, anzi, li rende “indivisibili”, non sono il risultato di concessioni statali. Presentarli anzi in tal modo, staccandoli dalla dimensione etica, e quindi universale, tende a relativizzali e, quindi, ad indebolirli.
 
Il discorso all’Onu era uno dei due momenti più attesi del viaggio papale, insieme con la preghiera di domenica prossima a Ground Zero. La sala dell’assemblea era piena e ci sono stati più applausi di quelli di cortesia. Così come non è apparso solo di cortesia il saluto finale che Benedetto XVI ha voluto rivolgere usando le lingue ufficiali delle Nazioni Unite, che vedono l’arabo ed il cinese accanto a francese, inglese e spagnolo.
 
Il Papa, dunque, è partito dal ruolo stesso dell’Onu, per affermare che “nel contesto delle relazioni internazionali, è necessario riconoscere il superiore ruolo che giocano le regole e le strutture intrinsecamente ordinate a promuovere il bene comune, e pertanto a difendere la libertà umana. Tali regole non limitano la libertà; al contrario, la promuovono, quando proibiscono comportamenti e atti che operano contro il bene comune, ne ostacolano l’effettivo esercizio e perciò compromettono la dignità di ogni persona umana”.
 
Di qui nasce il principio della “responsabilità di proteggere”, dalla quale Giovanni Paolo II trasse il concetto di intervento umanitario. “Ogni Stato – ha detto Benedetto XVI - ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali”. Tale azione “non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è bisogno e una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione”.
 
Il principio della responsabilità di proteggere, poi, “deve invocare l’idea della persona quale immagine del Creatore, il desiderio di una assoluta ed essenziale libertà”. Di qui anche un appunto ad una prassi che spesso domina gli organismi internazionali, quando il Papa ha osservato che “quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide, è un errore ritornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato a determinare ‘un terreno comune’, minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti”.
 
Nel mondo di oggi, ha poi notato Benedetto XVI, “i diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti”.
 
“Ovviamente i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente”. “È perciò inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale”. “Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto – per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone – privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità della persona”.
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