26/10/2015, 00.00
VATICANO - IRAQ
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Papa Francesco al Sinodo caldeo: Unità e pace per i cristiani in Iraq e Medio oriente

Questa mattina il pontefice ha ricevuto in udienza i vescovi irakeni e della diaspora, guidati dal patriarca Sako. Il papa auspica soluzioni ai problemi della Chiesa caldea, confronto e comunione fraterna. Inaugurando i lavori il patriarca chiede di affrontare i problemi con “umiltà e apertura di Spirito”.

Roma (AsiaNews) - Una esortazione “ad adoperarvi instancabilmente come costruttori di unità in tutte le province dell’Iraq, favorendo il dialogo e la collaborazione tra tutti gli attori della vita pubblica”; e ancora, il ricordo nella preghiera perché “i cristiani non siano costretti ad abbandonare l’Iraq e il Medio Oriente” pur a fronte di violenze e persecuzioni. Sono questi alcuni passaggi significativi del discorso rivolto da papa Francesco al patriarca e ai vescovi della Chiesa caldea irakeni e della diaspora, riuniti a Roma dal 24 al 29 ottobre per il loro Sinodo. Il pontefice ha ricevuto questa mattina in udienza i partecipanti, guidati dal patriarca Louis Raphaël I Sako, il quale ha partecipato anche al recente Sinodo sulla famiglia. La “vostra visita”, ha aggiunto, è occasione per “rinnovare un accorato appello alla comunità internazionale, affinché sappia adottare tutte le strategie valide al fine di promuovere il raggiungimento della pace” in Paesi “devastati dall’odio”. 

La Chiesa caldea vive un momento di difficoltà acuito dalla guerra che ha martoriato Siria e Iraq, terre in cui vive la gran parte dei fedeli; tuttavia, violenze e conflitti hanno favorito la fuga all’estero, un esodo biblico che ha più che dimezzato la popolazione cristiana della regione. A questo si uniscono le tensioni fra il patriarca e alcuni sacerdoti (e monaci) della diaspora, che hanno lasciato l’Iraq senza il permesso del vescovo o del loro superiore. 

Rivolgendosi ai partecipanti al Sinodo, papa Francesco ha ricordato le “amate terre di Iraq e Siria, in un periodo particolarmente sofferto e delicato”, augurandosi che possa “la misericordia di Dio, nell’imminenza dell’Anno Giubilare, lenire le ferite della guerra”. Il pontefice richiama l’odio “fanatico” del terrorismo, che “continua a provocare una forte emorragia di fedeli” e mina “alle fondamenta la vitale presenza cristiana in quella terra”, con “innumerevoli esempi di persecuzione, anche fino al martirio”. 

Francesco prosegue ricordando “i bisogni dei fedeli della diaspora”, i quali sentono “il desiderio di restare saldi nelle proprie radici e di inserirsi in nuovi contesti”. E rivolgendosi ai partecipanti al Sinodo li esorta a essere “costruttori di unità” e fonte di “dialogo” e “collaborazione” tra “tutti gli attori della vita pubblica”. Inoltre, il papa avverte che il Sinodo è un “cammino insieme” e un momento “propizio di confronto fra le diversità” che arricchisce “la comunione fraterna fra di voi” operando “con misericordia, nell’umiltà, nella pazienza e nella reciproca accoglienza che genera comunione”. 

Il papa, senza citarli in modo esplicito, cita i contrasti in seno alla Chiesa caldea. Il Sinodo richiede “senso di responsabilità” e “una vera e propria kenosi, un abbassamento e una spogliazione di sé” per “colmare le distanze che separano e a discernere le risposte alle urgenze attuali della Chiesa Caldea sia nella madrepatria sia nella diaspora”. “In tal modo - conclude il pontefice - le riflessioni che emergeranno potranno offrire soluzioni proficue alle vostre attuali esigenze e spunti di convergenza per la risoluzione di problematiche liturgiche e di ordine generale”.

Il Sinodo della Chiesa caldea era programmato in origine per il 22 settembre scorso ad Ankawa, distretto cristiano di Erbil, capitale del Kurdistan irakeno. L’Assemblea è stata rinviata in un secondo momento a Roma, per la fine di ottobre, per favorire il viaggio di vescovi provenienti da Canada, Stati Uniti e Australia. Tra i temi al centro dei lavori sinodali la comunione e l’unità fra diocesi, dentro e fuori l’Iraq. E ancora, il dramma delle decine di migliaia di famiglie fuggite dalle loro case a Mosul e nella piana di Ninive, in concomitanza con l’avanzata dello Stato islamico (SI). E ancora, la controversia che vede opposti il patriarca e un gruppo di monaci e sacerdoti che hanno lasciato negli anni scorsi le diocesi di origine per rifugiarsi nei Paesi della diaspora e, in particolare, in una diocesi degli Stati Uniti. L’obiettivo di Mar Sako è quello di dare speranza a cristiani e musulmani, grazie a una presenza forte e dinamica della Chiesa caldea, che sappia anche rinnovarsi nella liturgia. 

Inaugurando i lavori del Sinodo, il patriarca caldeo ha rivolto un messaggio ai vescovi presenti: “So che ognuno di noi è immerso nei problemi della sua diocesi, ma ogni diocesi è una parte importante della Chiesa caldea. Le vostre preoccupazioni sono le preoccupazioni di ognuno di noi e le preoccupazioni del patriarca”. Mar Sako ha chiesto ai vescovi irakeni e della diaspora di “lasciare da parte il gossip e i pettegolezzi”, affrontando con “umiltà e apertura di Spirito” i problemi nel tentativo di cercare una “soluzione”.

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