10/11/2015, 00.00
VATICANO - ITALIA
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Papa a Prato: combattere “il cancro della corruzione, dello sfruttamento umano e lavorativo”

“Nasca in noi una rinnovata passione missionaria” che spinga a “uscire”, a “camminare per i sentieri accidentati di oggi”, a creare una comunità accogliente, “contrastando la cultura dell’indifferenza e dello scarto”. In piazza una bandiera cinese, testimonianza di una comunità di 20mila persone che vive e lavora nella città toscana. Francesco ha ricordato l’incendio che due anni fa provocò la morte di cinque uomini e due donne: “una tragedia dello sfruttamento e delle condizioni inumane di vita”.

Prato (AsiaNews) – Combattere “il cancro della corruzione. Dello sfruttamento umano e lavorativo e il veleno dell’illegalità”. E’ l’invito che papa Francesco ha rivolto questa mattina a Prato (nella foto), città industriale toscana di 200mila abitanti che conta una folta comunità cinese, circa 20mila persone proveniente principalmente dalla provincia di Zhejiang – numericamente la terza d’Europa – prima tappa della visita che lo vedrà poi a Firenze.

Una presenza, quella dei cinesi, evidenziata da una bandiera e dalla scritta “benvenuto” in cinese presente nella piazza della cattedrale dove poco dopo le 8 del mattino, il Papa ha incontrato più di 20mila persone. Della locale comunità cinese Francesco ha ricordato la tragedia che, due anni fa, provocò la morte di cinque uomini e due donne. “Vivevano e dormivano – ha detto - all’interno dello stesso capannone dove lavoravano”. “È – ha aggiunto - una tragedia dello sfruttamento e delle condizioni umane di vita”.

A Prato il Papa è tornato a insistere sulla necessità della Chiesa di “uscire”. “Nasca in noi una rinnovata passione missionaria” che spinga a “uscire”, a  “camminare per i sentieri accidentati di oggi”, a creare una comunità accogliente, “contrastando la cultura dell’indifferenza e dello scarto” e quindi a integrare ciascuna persona. “Uscire – ha commentato - certo, vuol dire rischiare, ma non c’è fede senza rischio”, per “accompagnare chi ha smarrito la via”, e “accogliere chi è ferito e non attende più nulla dalla vita”, ma anche di “rivestirsi” di verità per combattere il male.

“Sono venuto – le sue parole - come pellegrino, un pellegrino di passaggio, poca cosa, ma almeno la volontà c’è, in questa città ricca di storia e di bellezza, che lungo i secoli ha meritato la definizione di ‘città di Maria’. Siete fortunati, perché siete in buone mani! Sono mani materne che proteggono, sempre aperte per accogliere. Siete privilegiati anche perché custodite la reliquia della «Sacra Cintola» della Madonna, che ho appena potuto venerare”. Nella cattedrale è infatti conservata quella che si ritiene la cinta di Maria.

“Questo segno di benedizione per la vostra città – ha proseguito - mi suggerisce alcuni pensieri, suscitati anche dalla Parola di Dio. Il primo ci rimanda al cammino di salvezza che il popolo di Israele intraprese, dalla schiavitù dell’Egitto alla terra promessa. Prima di liberarlo, il Signore chiese di celebrare la cena pasquale e di consumarla in un modo particolare: «con i fianchi cinti» (Es 12,11). Cingersi le vesti ai fianchi significa essere pronti, prepararsi a partire, a uscire per mettersi in cammino. A questo ci esorta il Signore anche oggi, oggi più che mai: a non restare chiusi nell’indifferenza, ma ad aprirci; a sentirci, tutti quanti, chiamati e pronti a lasciare qualcosa per raggiungere qualcuno con cui condividere la gioia di aver incontrato il Signore e anche la fatica di camminare sulla sua strada. Ci è chiesto di uscire per avvicinarci agli uomini e alle donne del nostro tempo. Uscire, certo, vuol dire rischiare, ma non c’è fede senza rischio. Una fede che pensa a sé stessa e sta chiusa in casa non è fedele all’invito del Signore, che chiama i suoi a prendere l’iniziativa e a coinvolgersi, senza paura. Di fronte alle trasformazioni spesso vorticose di questi ultimi anni, c’è il pericolo di subire il turbine degli eventi, perdendo il coraggio di cercare la rotta. Si preferisce allora il rifugio di qualche porto sicuro e si rinuncia a prendere il largo sulla parola di Gesù. Ma il Signore, che vuole raggiungere chi ancora non lo ama, ci sprona. Desidera che nasca in noi una rinnovata passione missionaria e ci affida una grande responsabilità. Chiede alla Chiesa sua sposa di camminare per i sentieri accidentati di oggi, di accompagnare chi ha smarrito la via; di piantare tende di speranza, dove accogliere chi è ferito e non attende più nulla dalla vita. Questo ci chiede il Signore”.

“Egli stesso ci dà l’esempio, avvicinandosi a noi. Il Sacro Cingolo, infatti, richiama anche il gesto compiuto da Gesù durante la sua cena pasquale, quando si strinse le vesti ai fianchi, come un servo, e lavò i piedi dei suoi discepoli (cfr Gv 13,4; Lc 12,37). Perché, come ha fatto Lui, facessimo anche noi. Siamo stati serviti da Dio che si è fatto nostro prossimo, per servire a nostra volta chi ci sta vicino. Per un discepolo di Gesù nessun vicino può diventare lontano. Anzi, non esistono lontani che siano troppo distanti, ma soltanto prossimi da raggiungere. Vi ringrazio per gli sforzi costanti che la vostra comunità attua per integrare ciascuna persona, contrastando la cultura dell’indifferenza e dello scarto. In tempi segnati da incertezze e paure, sono lodevoli le vostre iniziative a sostegno dei più deboli e delle famiglie, che vi impegnate anche ad ‘adottare’. Mentre vi adoperate nella ricerca delle migliori possibilità concrete di inclusione, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà. Non rassegnatevi davanti a quelle che sembrano difficili situazioni di convivenza; siate sempre animati dal desiderio di stabilire dei veri e propri ‘patti di prossimità’. Ecco prossimità, avvicinarsi per essere fratelli”.

“C’è ancora un’altra suggestione che vorrei proporvi. San Paolo invita i cristiani a indossare un’armatura particolare, quella di Dio. Dice infatti di rivestirsi delle virtù necessarie per affrontare i nostri nemici reali, che non sono mai gli altri, ma ‘gli spiriti del male’. Al primo posto in quest’armatura ideale compare la verità: «attorno ai fianchi la verità», scrive l’Apostolo (Ef 6,14). Dobbiamo cingerci di verità. Non si può fondare nulla di buono sulle trame della menzogna o sulla mancanza di trasparenza. Ricercare e scegliere sempre la verità non è facile; è però una decisione vitale, che deve segnare profondamente l’esistenza di ciascuno e anche della società, perché sia più giusta, perché sia più onesta. La sacralità di ogni essere umano richiede per ognuno rispetto, accoglienza e un lavoro degno, lavoro degno. Mi permetto qui di ricordare i cinque uomini e le due donne di cittadinanza cinese morti due anni fa a causa di un incendio nella zona industriale di Prato. Vivevano e dormivano all’interno dello stesso capannone dove lavoravano. In una zona era stato ricavato un piccolo dormitorio in cartone e cartongesso, con letti sovrapposti per sfruttare l’altezza della struttura. È una tragedia dello sfruttamento e delle condizioni inumane di vita. La vita di ogni comunità esige che si combattano fino in fondo il cancro della corruzione. Dello sfruttamento umano e lavorativo e il veleno dell’illegalità. Dentro di noi e insieme agli altri, non stanchiamoci mai di lottare per la verità!”.

“Incoraggio tutti, soprattutto voi giovani, mi hanno detto che voi giovani avete fatto una veglia di preghiera tutta la notte, grazie. Incoraggio tutti e soprattutto voi giovani a non cedere mai al pessimismo e alla rassegnazione. Maria è colei che con la preghiera e con l’amore, in un silenzio operoso, ha trasformato il sabato della delusione nell’alba della risurrezione. Se qualcuno si sente affaticato e oppresso dalle circostanze della vita, confidi nella nostra Madre, che è vicina e consola. Sempre ci rincuora e ci invita a riporre fiducia in Dio: suo Figlio non tradirà le nostre attese e seminerà nei cuori una speranza che non delude”.

 

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